Da decenni la Corea del Nord rappresenta una minaccia non solo per la Corea del Sud ma anche per il Giappone che è stato e continua a essere nel raggio dei missili di Pyongyang, soprattutto con le nuove capacità acquisite dopo gli ultimi test. Il Giappone ha fatto affidamento su una presenza militare USA per molti anni ma oggi Tokyo sta considerando di ampliare il ruolo delle forze di autodifesa (SDF), secondo le nuove leggi sulla sicurezza, per contrastare le crescenti minacce nucleari dalla Corea del Nord. (Il primo ministro giapponese ha fissato al 2020 la scadenza per rivedere la costituzione del Giappone, che vieta ai militari del paese di intraprendere molte attività militari offensive).
Gli ultimi eventi, la partecipazione di una rappresentanza nordcoreana alle olimpiadi invernali in Corea del Sud, la visita di funzionari sudcoreani a Pyongyang; l’annunciato incontro tra il presidente sudcoreano Moon Jae-in e il leader nordcoreano, Kim Jong-un; il possibile vertice, nei prossimi mesi, tra il presidente americano e quello nordcoreano hanno, probabilmente, cambiato le prospettive future nella Penisola coreana.
Il 13 marzo, fonti stampa hanno riportato che il governo giapponese avrebbe in programma di sondare la possibilità di tenere un summit tra il primo ministro Shinzo Abe e il leader nordcoreano Kim Jong Un. La decisione sarebbe arrivata dopo il colloquio tra Abe e Suh Hoon, uno degli inviati sudcoreani che si è recato a Pyongyang, la scorsa settimana, per incontrare Kim Jong-un.
Uno scenario che, se fosse vero, rappresenterebbe una drastica rottura dalla posizione del primo ministro giapponese contro il dialogo con Pyongyang. L’amministrazione Abe ha a lungo sostenuto una posizione cauta nel dialogo con la Corea del Nord, ora invece, secondo quanto riporta il Japan Times, ci sarebbe una possibilità di progredire nella risoluzione della questione dei rapimenti di cittadini giapponesi da parte della Corea del Nord, avvenuti negli anni ’70 e ’80. Una fonte, dell’ufficio di Abe, ha riferito che “se vogliamo risolvere il problema dei rapimenti è essenziale il dialogo diretto con Kim Jong Un”
L’ultima volta che i leader giapponesi e nordcoreani si sono incontrati è stato nel 2004, quando l’allora primo ministro Junichiro Koizumi ha incontrato a Pyongyang Kim Jong Il, padre dell’attuale leader. Il primo ministro giapponese ha intenzione di visitare gli Stati Uniti, all’inizio del mese prossimo per incontrare Trump, allo scopo di coordinare le politiche sulla Corea del Nord, in vista di quello che sarà il primo incontro tra un presidente degli Stati Uniti e il leader nordcoreano.
Abe e Trump hanno avuto lo stesso atteggiamento verso la Corea del Nord, promuovendo entrambi una strategia di applicazione della “massima pressione” attraverso le sanzioni al governo di Kim, per costringerlo ad abbandonare il suo programma di armi nucleari. Da vedere quanto questo atteggiamento possa avere irritato il regime di Kim Jong-un, probabilmente, a un punto tale che potrebbe non essere disposto a tenere colloqui con l’attuale amministrazione giapponese.
Nella penisola coreana il sentimento anti giapponese è ancora molto forte. Storicamente il Giappone ha invaso la penisola coreana più volte nel corso dei secoli, l’ultima occupazione è stata tra il 1910 e il 1945.
Il Giappone mira a normalizzare i legami con la Corea del Nord, non solo per porre fine allo sviluppo nucleare e missilistico ma anche per la risoluzione del problema dei rapimenti di cittadini giapponesi. I rapimenti di cittadini nipponici da parte della Corea del nord sono avvenuti tra gli anni Settanta e Ottanta con l’intento di costruire una rete di spionaggio internazionale utilizzando le abilità degli stranieri stessi, e cioè insegnare alle forze speciali nordcoreane la loro lingua e cultura e consentire loro di infiltrarsi facilmente durante le missioni in Giappone. Abe ha fatto dei rapimenti uno dei punti principali della sua carriera politica e ha affermato che non si fermerà fino a quando non si sarà chiarita la situazione.
Secondo Atsuhito Isozaki, professore associato ed esperto sulla Corea del Nord all’Università di Keio, Pyongyang comprende che c’è un vantaggio latente nel normalizzare i legami con il Giappone, perché ciò comporterebbe l’afflusso di ingenti fondi al regime. Ma ora che è sempre più sicuro di poter ottenere l’assistenza finanziaria da Seoul e potrebbe anche essere in grado di raggiungere un punto di svolta con Washington, vede meno interessante un’apertura verso il Giappone. La situazione è molto diversa dal 2002, quando la Corea del Nord vedeva ancora Tokyo come un potenziale ponte verso Washington.
Elvio Rotondo
Country Analyst