Rodolfo Maria Salvi, Junior fellow del “Nodo di Gordio” ne ha parlato con il Dott. Sacchetto Carlo, agronomo, economista e tra i massimi esperti di tabacco.
Parlare di tabacco all’interno di un think tank di geopolitica può sembrare fuori luogo. Al contrario, diradata l’ombra di fumo appare evidente come la coltivazione e trasformazione delle foglie di tabacco rappresentino una risorsa strategica per lo sviluppo socioeconomico di intere comunità rurali. Di conseguenza, le decisioni del settore hanno ripercussioni non solo a livello locale ma anche europeo e internazionale.
La storia occidentale del tabacco coincide con la scoperta dell’America, quando Cristoforo Colombo venne accolto dai nativi americani con il dono di foglie di Nicotiana tabacum; non sapendo che farsene le gettò in mare, e con esse gettò via anche la più grande opportunità commerciale che si potesse immaginare a quei tempi. La pianta era conosciuta e utilizzata all’epoca dai nativi per la cura dei mali e nei riti religiosi. Dopo oltre cinque secoli di tumultuoso sviluppo del fumo, la sigaretta diventa un prodotto culta livello globale. Se alle origini il tabacco grezzo era conosciuto come rimedio salutare – utilizzato ad esempio da Caterina de’ Medici per le emicranie, in Spagna per la cura delle ferite, in Francia come medicinale antitumorale e in Olanda come rimedio contro la peste – nel tempo si prende coscienza dei rischi che il suo fumo comporta in termini di dipendenza e di sostanze nocive inalate durante la combustione.
Al di là della storia della foglia più famosa al mondo, ciò che spesso viene trascurato è l’impatto economico e sociale della coltivazione del tabacco nelle comunità rurali. Il tabacco è considerata una risorsa strategica per lo sviluppo delle comunità agrarie, anche in Italia e in Europa. Tale specificità è dovuta a diversi fattori intrinseci della pianta, che si adatta facilmente a condizioni climatiche e di terreno ostativi per un’agricoltura ordinaria, permettendo la coltivazione in zone difficili, altrimenti lasciate incolte. Allo stesso tempo, le fasi di produzione e di trasformazione del tabacco, soprattutto quello ‘nero’, più pregiato, richiedono personale specializzato che oltre a percepire una remunerazione superiore a quella ordinaria in agricoltura è caratterizzato da un’elevata quota di lavoro femminile. La correlazione tra sviluppo sociale e cultura del tabacco è al centro di varie autorevoli pubblicazioni, tra cui vale citare il saggio: The Socio-economic Value of Tobacco in the European Unioncurato da Nomisma e tradottao anche in italiano (Donzelli 2013).
L’Italia, malgrado il forte calo registrato negli ultimi 15 anni, è il principale produttore di tabacco nell’Unione Europea. Secondo i dati Faostat, nel 2018 sono state contrattate circa 59 mila tonnellate all’interno dei confini nazionali, equivalenti a più di 17 mila ettari. La coltivazione tabacchicola si svolge storicamente in pochi e piccoli distretti concentrati nell’Alta valle del Tevere tra Umbria e Toscana, nella bassa Veronese e a Caserta, Benevento e Avellino. La produzione e trasformazione nazionale è inoltre particolarmente pregiata e consente elevati ricavi, con un costante aumento nel tempo del proprio valore economico. Il tabacco grezzo Kentucky italiano, utilizzato per la fabbricazione del Sigaro Toscano® per esempio, ha visto incrementare la propria quotazione del 45% tra il 2010 e il 2020. Un trend difficilmente paragonabile ad altri prodotti del settore agricolo. Non stupisce infatti che il settore negli anni abbia registrato eccellenze nel panorama internazionale, con il Sigaro Toscano® premiato come migliore sigaro al mondo nella categoria Best Medium Filleralla fiera internazionale Intertabac di Dortmund nel 2016.
Come dicevo, tabacco e geopolitica. Di recente si è tornati a parlare di tabacco all’interno del panorama nazionale e nell’Unione europea, riflettendo sul ruolo socioeconomico e di contributo alla sostenibilità che la sua filiera crea nelle comunità coinvolte. L’impatto economico dell’epidemia di Covid-19 nel settore primario, la negoziazione della PAC – i sussidi all’agricoltura – all’interno del bilancio Ue 2021-2027 e le politiche di incentivi alla rilocazione delle industrie entro i confini comunitari sono solo alcune delle tematiche europee e internazionali attualmente in discussione.
Per meglio comprendere le dinamiche internazionali del settore abbiamo contattato Carlo Sacchetto, agronomo, economista ed esperto di tabacco. Da diversi anni si occupa di politica agricola e sviluppo della filiera agroindustriale, ricoprendo incarichi pubblici e privati in Italia e in Europa.
Le aziende di produzione e trasformazione del tabacco rischiano di soffrire la congiuntura economica negativa dovuta all’epidemia di Coronavirus. Dottor Sacchetto, ci sono già stime dei danni economici? Quale pensa che siano le strategie e le sinergie attuabili dalle aziende tabacchicole per rispondere al meglio alla crisi?
Viviamo indubbiamente una fase di grande incertezza, gli impatti della pandemia nelle principali zone di produzione mondiali non sono ancora noti nel dettaglio. D’altro canto, la filiera italiana ed europea del tabacco è estremamente ben organizzata e capace di reagire in modo estremamente rapido ed efficiente alle emergenze.
Le imprese di trasformazione che hanno sospeso le attività con l’inizio del lockdown, si sono organizzate avviando tutti i protocolli di sicurezza e gli accordi sindacali per consentire la ripresa delle attività in sicurezza. Siamo certi che la flessibilità organizzativa dei calendari delle attività non farà perdere neanche un’ora di lavoro in fabbrica. Almeno per il raccolto 2019, attualmente in lavorazione, riteniamo che la pandemia non determinerà significativi impatti negativi, almeno in Italia.
Un problema più serio riguarda il 2020, in Italia e in Europa, in particolare per la fase agricola. La carenza di manodopera nelle campagne, molto sentita in tutto il settore agricolo – si parla di circa 370.000 lavoratori in meno in Italia – è ancora più determinante nella tabacchicoltura dove il personale ha una specializzazione medio-alta e mantiene con le aziende agricole rapporti che si rinnovano ogni anno. Senza la certezza della manodopera molti tabacchicoltori potrebbero ridurre o annullare la coltivazione nel 2020 – siamo attualmente nel periodo dei trapianti in campo – e ciò determinerebbe un impatto negativo sia a monte sia a valle.
Oggi, molti lavoratori comunitari (Romania, Bulgaria) e di paesi terzi (Albania, Serbia) si trovano nell’impossibilità di tornare in Italia e quelli che sono rimasti nel nostro paese hanno difficoltà a regolarizzare i permessi di lavoro. Come organizzazione interprofessionale del tabacco stiamo definendo un protocollo di intesa con il Ministero delle politiche agricole e le organizzazioni sindacali dei lavoratori e datoriali, per risolvere questi problemi, organizzando corridoi per il reingresso dei lavoratori. È necessario superare del tutto l’inefficiente gestione dei flussi, anche nell’ottica di combattere la piaga del caporalato.
Altro segno di vitalità del settore è che, malgrado la crisi stia colpendo tutto il settore agricolo, anche in questo periodo riceviamo continue richieste da parte di agricoltori che intendono avviare la produzione di tabacco.
Il tabacco ha vissuto crisi ricorrenti ma ha gli strumenti per garantire alle aziende di superare la crisi, anche indicando percorsi virtuosi esportabili in altri comparti, la forza del settore è nella sua organizzazione, basti considerare che l’unica organizzazione interprofessionale transnazionale europea riconosciuta a Bruxelles, in base ai regolamenti della PAC oggi in vigore, è proprio quella del tabacco greggio.
La filiera tabacchicola ha storicamente svolto un ruolo di ‘pioniere’, creando innovazione e prospettive di crescita nel settore primario specialmente per le comunità più povere dell’Europa mediterranea. Il bilancio Ue 2021-2027 dovrà ridefinire la Politica Agricola Comune – PAC – e con essa il futuro del settore e del tabacco. Quali sono le prospettive e quale ruolo gioca l’Italia nelle negoziazioni?
I rapporti tra il tabacco e la PAC sono stati, negli ultimi tempi, molto difficili. L’organizzazione comune del mercato (OCM) del tabacco è nata nel 1970 con la decisione degli Stati Membri – allora erano i sei fondatori della CEE – di sopprimere i monopoli nazionali di produzione. Furono introdotti una serie di strumenti di sostegno finanziari per sostenere la produzione che affrontava per la prima volta il mercato aperto internazionale. Fino al 2005 è rimasto in vigore un sistema di aiuti mirato a compensare il gap esistente relativo ai costi di produzione (welfare e energia soprattutto) nei confronti degli altri grandi produttori mondiali sul libero mercato: India, Brasile, paesi dell’Africa australe in primis.
A partire dal 2005 gli aiuti comunitari sono stati dimezzati e poi definitivamente soppressi nel 2010, sull’altare di una “necessaria coerenza” tra le politiche agricole e quelle sanitarie dell’Unione. Oggi la tabacchicoltura è l’unica coltivazione agricola che non può ricevere sostegni finanziari né da parte della Politica Agricola Comune né dagli Stati Membri su base volontaria. Come si può facilmente immaginare questa politica che, se forse ha lenito i sensi di colpa dei legislatori europei, ha determinato un crollo di oltre il 50% della produzione europea, già allora deficitaria di circa il 75%, non compensata dall’ingresso nell’Ue di nuovi Stati Membri produttori come Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania e Croazia, determinando gravissimi impatti economici e sociali. Si pensi che in Grecia il tabacco rappresentava da solo oltre il 30% delle esportazioni agricole. Le decisioni comunitarie hanno così gravato sulle bilance dei pagamenti e sull’occupazione dei territori tabacchicoli, senza tuttavia determinare alcun impatto positivo sui consumatori, dal momento che le aziende manifatturiere europee hanno sostituito il tabacco Ue con equivalenti importazioni dai Paesi terzi, peraltro coltivato in condizioni non comparabili dal punto di vista dell’utilizzo di agrofarmaci e delle condizioni di lavoro.
Questa discriminazione dei tabacchicoltori rispetto agli altri agricoltori è stata stigmatizzata duramente dal Parlamento europeo, che ha sempre votato contro. Una disparità di trattamento tutt’oggi vigente e totalmente ingiustificata. Vi è l’auspicio che la discussione sulla futura PAC, rinviata al 2023 a seguito della pandemia, prevederà all’eliminazione di questa iniqua discriminazione promuovendo l’aumento della produzione comunitaria, e con essa le sue eccellenze. L’Italia, assieme agli altri stati membri produttori, seppure rappresentino una minoranza tra i 27, sta lavorando perché ciò accada.
Il Covid-19 sembra aver messo in crisi l’attuale modello di globalizzazione. Cresce la volontà politica di promuovere politiche di reshoring. Molti si attendono incentivi europei per la rilocazione delle imprese all’interno dei confini comunitari. Quali sono le condizioni per il rientro in Europe della produzione e delle manifatture di tabacco?
Le parole chiave sono sostenibilitàe contrasto al dumping sociale. La globalizzazione è un fenomeno molto complesso e rappresenta una svolta fondamentale e ineluttabile nelle relazioni umane e commerciali nel nostro pianeta. Di sicuro l’eliminazione delle barriere ha portato benessere diffuso ma la mancanza di regole del gioco condivise ha generato gravi problemi. Il mercato tende a massimizzare il profitto creando ricchezza ma come si può competere con altri operatori che usano regole del gioco così diverse? In Italia un’ora di lavoro in una impresa di trasformazione del tabacco costa 25$ l’ora, e comprende elevati costi assistenziali e previdenziali a carico di imprese e lavoratori, nonché stringenti regole definite dai Contratti collettivi di lavoro e dall’applicazione di rigide e serie Pratiche di Lavoro Agricolo (ALP – Agricultural Labor Practices). La stessa ora di lavoro costa pochi dollari in Brasile e qualche manciata di centesimi in Africa o in India, per non parlare della Cina che produce (e fortunatamente consuma anche) quasi il 45% del tabacco mondiale.
Ci sono poi i costi diretti e indiretti legati all’energia, in Italia e in Europa l’essiccazione del tabacco si fa utilizzando combustibili di basso impatto (gas) e sempre di più ricorrendo a fonti alternative rinnovabili (biomasse e scarti di lavorazione agricola). Come possiamo confrontare la qualità del tabacco prodotto con quella di Paesi che ancora utilizzano il carbone o ricorrono al legname attraverso deforestazioni incontrollate e selvagge?
Vanno poi considerate le Buone Pratiche Agricole (GAP – Good Agricultural Practices) e le limitazioni d’uso degli agrofarmaci, gestite attraverso cogenti disciplinari di produzione e regolamenti comunitari e tutte le pratiche connesse e necessarie per il monitoraggio e il controllo del rispetto delle regole.
Questa è solo una estrema sintesi che può far immaginare le differenze in termini di qualità intrinseche e correlate del tabacco italiano ed europeo rispetto al prodotto delle altre principali origini concorrenti mondiali. Tutto ciò ha enormi costi per gli agricoltori e la filiera che non possono essere trascurati. Tuttavia, il tabacco greggio è una commodity e seppure il mercato pretenda dal tabacco italiano ed europeo tutti i costi e gli investimenti detti, non è sempre disponibile a riconoscerli, privilegiando il mero rapporto qualità (organolettiche)/prezzo.
La componente costo del tabacco pagato all’agricoltore italiano sul prezzo di mercato di una sigaretta, tasse incluse, è inferiore allo 0,05%: ovvero, grossolanamente, mentre 1 kg di buon tabacco Virginia viene pagato all’agricoltore 3 €/Kg, con 1 Kg di tabacco si producono 1.500 sigarette, che finiscono sul mercato, erario compreso, a circa 375 €, con un incremento di valore del 12.500%! Visto che lo spazio per un miglioramento delle condizioni di prezzo sembra esserci, è necessario che il mercato riconosca appieno i maggiori costi di produzione di un tabacco integro e sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, la sostenibilità deve potersi reggere su tutti e tre i pilastri, compreso quello economico. Differentemente prima o poi crolla.
Per alcuni dei motivi visti prima, costo del lavoro e condizioni della fiscalità locale in primis, la presenza storica delle manifatture di tabacco in Italia e nell’Europa occidentale che, a seguito della globalizzazione, hanno avviato da tempo un processo di delocalizzazione sempre di più verso oriente, non potrà in tempi brevi invertire la rotta.
Tuttavia, l’emergere sul mercato dei prodotti da fumo di nuova generazione, in particolare i prodotti a tabacco riscaldato denominati HnB (Heat-not-Burn) ha rilanciato importanti investimenti in Europa e, in particolare, in Italia. Il primo e più grande stabilimento per la fabbricazione di questi nuovi prodotti del leader del settore Philip Morris è nato vicino a Bologna meno di 4 anni fa con un investimento di oltre 1,1 miliardi di € su un’area di 330mila m2e oltre 1.500 dipendenti; la più grande fabbrica italiana realizzata negli ultimi 20 anni. Sono poi nati o riconvertiti altri stabilimenti simili nella Ue. I motivi di questo successo vanno individuati nella competenza, nella capacità di adattarsi alla rapidità delle nuove tecnologie e all’esistenza di distretti organizzati di fornitori di mezzi di produzione e di servizi di altissimo livello mondiale. Tornando allo stabilimento di Bologna, l’investimento a portato tre Comuni a fondersi in uno solo per facilitarne lo sviluppo, l’aeroporto di Bologna ha subìto importanti ampliamenti, la rete autostradale è stata profondamente ridisegnata e i più grandi player mondiali dall’IT al packaging hanno fatto importanti investimenti, ri-localizzando in Italia alcune produzioni.
Il settore del tabacco a ben vedere ha ancora ottime prospettive di crescita soprattutto in direzione di un’innovazione basata sulla sostenibilità. Servono tuttavia politiche appropriate per incentivare gli investimenti del settore, in Italia e a livello comunitario, e promuovere le condizioni di contesto positive e necessarie per lo sviluppo di tutta la filiera tabacchicola.
Sono note le conseguenze negative del fumo per la salute. Tuttavia, alcuni studi contro il Coronavirus – tra cui una pubblicazione sul New England Journal of Medicine e uno studio dell’ospedale francese La Pitié-Salpetrière –hanno identificato la nicotina come possibile alleato capace di ridurre il propagarsi dell’infezione sintomatica. Ritiene che sia possibile in futuro una rivalutazione in campo medico dei benefici della nicotina?
Il fumo di tabacco nuoce alla salute, tutta la filiera italiana ed europea ne è perfettamente consapevole. Proprio per questo motivo, come abbiamo già detto, compie tutti gli sforzi possibili, in diverse direzioni, per migliorare il prodotto dal punto di vista della salute umana, a partire dal rigido controllo dell’uso degli agrofarmaci nella coltivazione, fino allo sviluppo di nuovi prodotti a base di tabacco riscaldato a potenziale rischio ridotto.
Va poi specificato che la nicotina è una componente importante del fumo di tabacco ma si tratta di due cose diverse. Le pubblicazioni citate riguardano studi relativi alla capacità della proteina nicotina di attenuare la patologia da Sars-CoV2 e sappiamo che gli studi stanno proseguendo ma non certo costringendo i malati a fumare, bensì utilizzando cerotti a trasferimento transdermico di nicotina. D’altro canto, l’azione contrastante del fumo di tabacco in alcune malattie degenerative e autoimmuni come l’Alzheimer, il Parkinson e la Colite ulcerosa sono note anche se i meccanismi sono ancora in fase di studio e non autorizzano protocolli medici che invitino i malati a iniziare a fumare.
Inoltre, sono molte le aziende del tabacco che stanno lavorando sui vaccini anti Covid-19, come è stato fatto anche per Ebola. Il tabacco è il primo organismo vivente in cui è stata riscontrata la presenza di un virus, il cosiddetto virus “mosaico del tabacco”. Già alla fine del diciannovesimo secolo, il Prof. Dmitrij Iosifovič Ivanovskij, botanico e biologo russo, docente dell’Università di Varsavia, uno degli scopritori dei virus e tra i fondatori della virologia, aveva descritto delle piante di tabacco attaccate da un “virus”, pur senza avere gli strumenti per vederlo. Il genoma del tabacco è molto semplice e perfettamente conosciuto. Il suo DNA e RNA si prestano molto bene alla bioingegneria; inoltre il ciclo vegetativo della pianta è rapidissimo e favorisce la produzione di anticorpi. Sappiamo che alcuni vaccini elaborati utilizzando la pianta del tabacco sono in fase di test preclinici negli USA e che, se dovessero superare i controlli delle autorità sanitarie, una delle aziende potrebbe produrre tre milioni di dosi a settimana a partire dal prossimo mese di giugno.
In pratica nelle cellule della pianta del tabacco è stata clonata una porzione della sequenza genetica del SARS-CoV2 che porta allo sviluppo di un antigene che, iniettato nell’uomo, determina la produzione di anticorpi capaci di debellare il virus. Secondo gli scienziati lo sviluppo del vaccino utilizzando il tabacco sarebbe potenzialmente molto più sicuro, perché la pianta non può ospitare patogeni umani. In caso di esito positivo della sperimentazione, la produzione massiva sarebbe molto più veloce non necessitando il vaccino di refrigerazione e consentirebbe l’immunizzazione con una sola dose. Un altro aspetto significativo è che le industrie private stanno svolgendo questa ricerca senza prospettive di profitto.
Tutti speriamo che un prodotto così controverso come il tabacco possa dare un contributo a sconfiggere definitivamente una pandemia che, oltre ai tremendi effetti sulla salute umana e l’enorme numero di decessi cui non possiamo smettere di pensare, in poco tempo ha cambiato, e continuerà a farlo in futuro, il corso della storia dell’umanità sulla terra, i rapporti tra le persone e gli stati, gli scambi commerciali e le relazioni geopolitiche. Tutti ci auguriamo che, come a Firenze nel 1300, alla peste segua il Rinascimento.
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