Sin dal 2009, le scoperte di vasti giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale hanno sia originato la speranza di poter sostenere una stabilizzazione economica, politica e sociale nella regione, che ulteriori tensioni tra gli attori rivieraschi. Da una parte, i progetti di sfruttamento dei nuovi giacimenti hanno permesso di superare storiche dispute e avviare proficue collaborazioni, tra tutte quella egiziano-israeliana, e di dare origine a forum di cooperazione regionali come l’East Med Gas Forum (EMGF). Dall’altra, si sono acuite le rivendicazioni sui confini marittimi non delineati, principalmente tra Libano e Siria, Libano e Israele e tra Cipro e Turchia. Nel calderone di interessi, i politici hanno disegnato progetti mirabolanti, senza tener conto dell’equilibrio tra interesse nazionale e interesse economico degli attori coinvolti. Il progetto dell’EastMed pipeline è rappresentativo di tutto questo.
Ne avevo parlato già in novembre durante il convegno: “Questo è un nodo avviluppato. Il Mediterraneo da mare nostrum a mare globale: le reti geopolitiche”, sostenendo l’infattibilità dell’opera.
Nonostante la recente ratifica costituzionale greca per l’accordo di realizzazione del gasdotto EastMed (15 maggio), la pipeline dei record è destinata a rimanere un’illusione politica. Come dichiarato anche limpidamente da Marco Piredda, Senior Vice President di Eni per gli Affari Internazionali, alla Fondazione De Gasperi: «è evidente che vinceranno le soluzioni più flessibili, come il GNL, e più vicine ai mercati di sbocco».
EASTEMED, UNA “PIPEDREAM” ANNUNCIATA:
Tra il 2009 e il 2011, la compagnia americana Noble Energy scopre vari giacimenti limitrofi alle coste cipriote e israeliane, i principali sono Aphrodite (circa 4.6 Tcf), Tamar (11 Tcf) e Leviathan (21.9 Tcf). Scoperto il gas, il principale problema diventa chi lo estrae dove esportarlo. Il caso cipriota è esemplare: i giacimenti non sono economicamente sostenibili solo per il mercato interno di Cipro, a causa della mancanza di infrastrutture e per le piccole dimensioni del mercato interno. Israele diversamente ha infrastrutture preesistenti per l’utilizzo del gas a livello nazionale. Ciò nonostante Tel Aviv, interessata ad assumere il ruolo di esportatore, si scontra con due problemi di carattere politico ed economico: 1) identificare acquirenti di lungo periodo stabili ed affidabili, per economizzare gli investimenti necessari, e 2) individuare la via di esportazione più sicura, viste le conflittualità caratterizzanti la regione mediorientale.
La diplomazia israeliana si mobilita per cercare economie energivore ed affidabili verso cui esportare il gas. Se in un primo momento si ipotizza un accordo con la Turchia, geograficamente vicina e con un’economia energivora, tale prospettiva viene presto abbandonata per la poca affidabilità politica, i crescenti contrasti geopolitici in Siria e al largo delle acque libanesi e cipriote.
Tel Aviv decide allora di puntare sul vecchio continente. L’UE ha infatti necessità di diversificare le forniture russe e considera il gas come fonte primaria nella strategia energetica e di sostenibilità. Le operazioni di lobbying a Bruxelles vanno a buon fine, si decide di includere Cipro, la Grecia e l’Italia a sostegno degli interessi israeliani, e nasce il progetto EastMed pipeline.Maggio 2015, la Commissione UE riconosce il gasdotto EastMed come ‘progetto di interesse comune’ (PCI), l’iter di implementazione è meno burocratico e si apre la linea di finanziamento della BEI. Costo totale: 7miliardi, per 10bcm annui circa. Né i problemi di fattibilità tecnica, dovuti ai difficili fondali di Creta, né le rivendicazioni turche sembrano bloccare i piani israeliani.
Nell’agosto 2015, ENI individua l’elefante egiziano. La scoperta del giacimento Zohr (30tcf) fa scoppiare gli equilibri precedenti. Il giacimento da solo conta quasi quanto quelli di Israele e Cipro messi assieme. ENI inoltre ha una forte e radicata presenza in Egitto, dove collabora da tempo con il governo ed è proprietaria (al 50%) dell’impianto di liquefazione di gas di Damietta, uno dei due presente nelle coste Egiziane. Nonostante i tentativi di inserire ENI nell’affare EastMed pipeline, e gli amoreggiamenti tutt’ora in corso tra promotori della pipeline e governo italiano, l’azienda di San Donato Milanese è contraria al progetto e rifiuta una partnership minoritaria. L’ENI mira ad un’infrastruttura indipendente e a supportare l’ascesa del Cairo come hub regionale del gas. L’Egitto infatti possiede già un network di gasdotti, ilArish-Ashkelone l’Arab pipeline,connessi con Israele e due impianti per l’export di gas tramite LNG, a Idku e a Damietta.
L’entrata dell’ENI nello scacchiere energetico dell’East Med provoca uno shock negli equilibri, Israele deve rivalutare il proprio ruolo, la Turchia chiede di partecipare e reclama legittimità sulle acque cipriote, l’Egitto si riscopre attore centrale degli equilibri regionali. Le dinamiche che si sviluppano dalla nuova scoperta si intersecano non solo con il primato dell’ENI, come compagnia leader nel MENA e nella penisola araba, ma anche con il ruolo italiano. L’Italia si avvicina all’Egitto, e si apre il caso RegEni.
L’ HUB EGIZIANO, COME UNICA SOLUZIONE:
Sebbene la politica abbia continuato ad usare il progetto EastMed pipeline come bandierina in funzione antiturca, la realtà è chiara. L’unica opportunità di sviluppo delle risorse individuate è passando dal Cairo, dove l’ENI diventa di casa. 27 febbraio 2019, Descalzi, CEO ENI, lo dichiara chiaramente in un incontro in LUISS:
«ENI ha una posizione prevalente nella regione. L’Egitto d’altro canto è l’unico paese della regione che può fare export ad oggi, con risorse pronte e fruibili, con un export annuo odierno di 38 miliardi di metri cubi di gas, avendo a disposizione anche le infrastrutture per l’esportazione sia tramite LNG che tramite gasdotto, come la Arab pipeline. [..] La politica può dare una traccia ma le imprese hanno il dovere di tener conto del benchmark. Così la distanza tra interesse geopolitico ed interesse aziendale porta ENI a preferire, per il momento, lo sviluppo e l’utilizzo delle infrastrutture esistenti.»
I segnali del cambiamento erano già presenti, sin da quanto Israele, che supporta sia EastMed che l’EMGF, a febbraio 2018 aveva firmato con l’Egitto per esportare gas verso il Cairo. Una partnership quindicennale per la fornitura di 65bcm di gas, per un valore di 15 miliardi di dollari. L’accordo segna l’agilità della diplomazia energetica israeliana e un nuovo livello nella cooperazione bilaterale con l’Egitto. Un’operazione definita dall’allora Ministro per l’Energia israeliano come “storica pietra miliare” con le prime consegne avvenute ad inizio 2020.
A confutazione di ogni dubbio, il 14 marzo 2019 l’ENI individua Nour, un altro elefante egiziano al largo delle coste del Cairo, un giacimento supergiantla cui capienza non è ancora stata ufficializzata. Secondo i più ottimisti siamo attorno ai 90tcf, per i pessimisti 4tcf. Una grande incertezza, comune a molti casi all’ombra delle piramidi, come l’arresto di Patrick George Zaki. Apparentemente non c’è connessione tra business e diritti umani. Se non fosse che il Ministro degli Esteri italiano ci viene in soccorso. Non si parla di ENI ma delle fregate FREMM di Fincantieri, la differenza è poca. Di Maio a domanda risponde, intervistato da Repubblica:
– Perché, nonostante l’opacità e le violazioni dei diritti umani del regime di al Sisi, vendiamo all’Egitto navi che Fincantieri ha fabbricato per la nostra Marina?
«Sulle fregate Fremm il governo non ha preso alcuna decisione. C’è un negoziato in corso tra Fincantieri e governo egiziano, ma seguiamo con molta attenzione quello che sta avvenendo e nessuna vendita è stata approvata».
– Quindi che rapporti deve avere l’Italia con l’Egitto?
«Quando abbiamo affrontato il tema libico non si è potuto prescindere dal lavorare anche con l’Egitto, che oggi siede alla conferenza di Berlino ed è cruciale per la stabilizzazione del Mediterraneo e perla questione energetica. Ma posso garantire che ogni volta che vediamo al Sisi, sia io che il premier Conte, la prima questione che poniamo è quella della verità su Regeni».
Ancora, uno scontro tra interesse nazionale e interesse economico aziendale. Sempre che quello di Di Maio non sia più partitico che nazionale, e quello di Fincantieri (e ENI) non sia tanto aziendale quanto nazionale.
ALLA CORTE DEI FARAONI:
Mentre Di Maio si interroga su che relazioni stabilire con il Cairo, le fregate FREMM restano in banchina in Italia; la Francia cerca di inserirsi nella partita della fornitura militare, che vuol dire anche relazioni bilaterali, e dopo aver supportato la fallimentare pipeline Eastmed, Parigi è attivissima sia per lo sfruttamento del gas che nei rapporti con Al Sisi, con il quale condivide anche il sostegno ad Haftar. L’ENI rischia così di restare isolata e sotto assedio, non solo in Egitto ma anche in Libia. La partita del gas del Mediterraneo orientale si gioca al Cairo, chi è presente prende posizione. Chi risolve le problematiche, vince il jackpot.
L’Egitto non cerca solo aziende capaci di estrarre ed esportare gas, ma attori con i quali stringere relazioni di lungo periodo per sviluppare il paese sul piano economico-sociale e assicurare governabilità. Come sottolineato da Nickolay Mladenov, Coordinatore speciale ONU per il processo di pace in Medio Oriente, in un recente webinar in LUISS, l’Egitto diventerà il principale attore geopolitico ed energetico della regione.
«Nel Mediterraneo orientale le scoperte di gas stanno modificando le dinamiche politiche e geopolitiche. […] Nei prossimi anni, quando tutti questi giacimenti di gas nell’est del Mediterraneo entreranno in funzione, l’Egitto sarà in grado di coprire la maggior parte del suo fabbisogno con le proprie risorse. Questo è il sostanziale cambiamento geopolitico, nell’area dell’East Med, che avverrà nei prossimi anni, nemmeno decenni, per un Paese che è strumentale alla stabilità dell’intera regione.»
Tuttavia, il ruolo di centralità dell’Egitto dipenderà dalla sua capacità rafforzarsi dalle attuali vulnerabilità politico-economiche, vero nodo della questione. Fragilità considerate in termini di struttura istituzionale, corruzione, responsabilità politica e fiducia che la classe politica e il governo trasmettono agli attori internazionali e finanziatori. Mladenov sottolinea:
«Per affrontare il problema di un paese vulnerabile, dovremmo concentrarci nella sua unità nazionale, il governo è molto importante, ma (l’unità nazionale) rafforza la capacità dei partiti politici di attuare le riforme necessarie.»
Il Cairo necessità di stabilità politica per attrarre e assicurare gli investimenti nel gas, ma la stabilità politica ha bisogno dei ricavi dallo sfruttamento del gas, con i quali sostiene la legittimità del governo e la stabilità economica e sociale del paese. Un fattore ‘domino’, dove l’Italia può giocare un ruolo di primo piano sostenendo lo sviluppo dell’Egitto e cooperando per lo sfruttamento dei giacimenti. Ruolo che l’Eni ha dimostrato di capire, impegnandosi non solo nella partita energetica ma anche nel sostengo a progetti di sviluppo, fra tutti quello della “nuova capitale finanziaria dell’Egitto”. L’Italia, al contrario appare in balia dei sondaggi e degli umori del governo, con il rischio di lasciare uno dei campioni nazionali a spalle scoperte. In Egitto si gioca il futuro della stabilizzazione del Mediterraneo Orientale, Libia compresa. Una regione che volenti o dolenti ha ripercussioni primarie sulle dinamiche internazionali e nazionali italiane.
NOTE
I mutamenti negli equilibri geopolitici ed energetici nel Mediterraneo orientale non sono pranzi di gala. Dimostrati anche dai complessi casi dei due universitari italiani in Egitto. La strada verso la nuova centralità energetica e politica dell’Egitto è lastricata di problemi interni ed esterni, tre su tutti:
- Il coronavirus e la crisi nei prezzi delle risorse energetiche. La congiuntura economica negativa rischia di mettere a terra l’economia Egiziana. Un report del CESI (novembre 2019) segnalava come la grave instabilità economica del paese si ripercuota sulla stabilità politica e sociale. Al Sisi non è riuscito a risolvere le cause strutturali di debolezza del paese, e le misure di austerità adottate, di concerto con l’FMI, hanno aumentato il malcontento e ridotto la capacità della sanità egiziana di contrastare il coronavirus. Già a settembre 2019 le proteste popolari contro il governo avevano portato a 1900 arresti. La procura sosteneva che fossero frutto di manipolazioni veicolate dalla Fratellanza Mussulmana e da formazioni jihadiste.
- La Turchia è determinata ad avere un ruolo energetico e poltico. Le relazioni turco-egiziane non sono delle migliori. Nel 2013, Al Sisi ha preso il potere a discapito della Fratellanza Mussulmana, dichiarata fuori legge, assieme al suo partito e alle sue charities. Molti dei dissidenti politici e religiosi sono fuggiti dall’Egitto per rifugiarsi in Turchia, dove sotto alla protezione di Erdogan continuano i proselitismi contro Al Sisi, definito apostata, e ad organizzare le rivolte. Una contrapposizione, turco-egiziana, presente anche in Libia.
- L’Egitto ha nemici non solo esterni, ma anche interni. Nel Sinai in particolare, sono radicate organizzazioni terroristiche jihadiste, tra cui Wilayat Sinai affiliata del ISIS, e gruppi rivoluzionari vicini alla Fratellanza Mussulmana. Una situazione che erode la sicurezza e la governabilità politica. Il 3 febbraio scorso, il gasdotto Arish-Ashkelon che connette Egitto e Israele è stato oggetto di un attentato nei pressi del Sinai, rivendicato da Wilayat Sinai. Sebbene il flusso sia stato interrotto solo momentaneamente, la credibilità del Cairo di controllare e assicurare le forniture è stata lesa. Gli scontri tra forze governative e terroristi continuano. Il rischio di una escalation cruenta resta rilevante.
- Israele, nonostante l’accordo “storico” per la fornitura di gas all’Egitto si sta attrezzando per un export del gas indipendente. Dopo aver rifiutato nel 2013 la proposta della russa Gazprom di un terminale flottante per la gassificazione (FLNG), recentemente ci sta ripensando. La dipendenza dall’Egitto può essere un azzardo. Come dichiarato a Reuters da Yigal Landau, CEO di Ratio Oil, una delle imprese partner del giacimento Leviathan: «il FLNG ha il vantaggio di renderti indipendente dalla geopolitica, un indipendenza nelle esportazioni». Un’opzione attrattiva, con l’ipotetica connessione ai limitrofi giacimenti israeliani e persino con Aphrodite; e una concreta minaccia ai progetti del Cairo.
Rodolfo Maria Salvi
Junior Fellow del think tank “Il Nodo di Gordio”
© RIPRODUZIONE RISERVATA