All’alba di oggi, un commando di Shabaab somali è penetrato all’interno della North-Eastern Garissa University in Kenya. I miliziani islamisti hanno ucciso due guardie di sorveglianza e si sono diretti verso i dormitori, dove hanno svegliato 815 studenti e dopo averli radunati nell’Aula Magna li hanno separati secondo la fede di appartenenza: i musulmani sono stati liberati, i cristiani uccisi o presi in ostaggio. Un bilancio ancora parziale da parte delle autorità di Nairobi parla di almeno 16 morti e 70 feriti ma il numero di studenti “che non si trovano” è di 535 e questo fa temere che molti di loro siano stati presi in ostaggio dai terroristi.
Il portavoce degli Shebab Sheikh Ali Mohamud Rage ha rivendicato l’attacco con una telefonata all’agenzia Afp nella quale ha confermato che “i musulmani sono stati separati dagli altri e lasciati andare”, giustificando il blitz con il fatto che “il Kenya è in guerra con la Somalia e dunque la nostra gente ha la missione di uccidere chiunque è contro gli Shabab”. L’assalto all’ateneo di Garissa è il più grave attacco terroristico avvenuto in Kenya dal 2013 quando proprio gli Shabaab assaltarono lo shopping center «Westgate» a Nairobi, uccidendo 67 persone. Gli Shabaab appartengono al network di Al Qaeda in Africa Orientale, sono impegnati in una violenza guerra civile in Somalia e combattono in Kenya dal 2011, quando Nairobi inviò le truppe nel Paese confinante per aiutare il governo a combatterli.
Per approfondire la questione e capire chi sono gli Shabaab somali proponiamo un estratto dell’articolo del Country Analyst de “Il Nodo di Gordio” Marco Cochi apparso sull’ultimo numero della nostra rivista dedicato a i “Masters of Terror”.
Al-Shabaab: il terrore in Africa orientale
Una grave minaccia che interessa l’Africa orientale è costituita dal movimento somalo jihadista Harakat al Shabaab al Mujaahidiin, meglio noto come al Shabaab, che in arabo significa “la gioventù”. Il gruppo, legato ad al Qaeda, nel settembre 2013 ha firmato il sanguinoso attacco al centro commerciale Nakumatt Westgate di Nairobi, catturando molti ostaggi e uccidendo 71 persone, tra le quali anche numerosi turisti di tredici diverse nazionalità.
L’attacco allo shopping center di Nairobi non è stato né il primo né l’ultimo sferrato dal movimento jihadista in un Paese al di fuori dei confini somali1. Gli shabaab avevano, infatti, già colpito il Kenya, reo di aver scatenato un’offensiva contro di loro nelle regioni meridionali della Somalia. Lo scorso giugno, i miliziani somali hanno dichiarato il Kenya zona di guerra, accusando Nairobi di aver inviato soldati in Somalia nell’ottobre del 2011, in sostegno dell’AMISOM2. Anche l’Uganda è stata bersaglio di ripetuti attentati come ritorsione del fatto che i suoi soldati, insieme a quelli di Kenya e Burundi, costituiscono l’ossatura della missione di peacekeeping.
Molto clamore ha suscitato l’agguato portato a compimento in Kenya, lo scorso 22 novembre, nella zona di Mandera, situata quasi sulla linea di confine del territorio keniano, vicinissima alla Somalia, dove in un efferato attacco contro un autobus gli islamisti hanno ucciso a sangue freddo 28 persone, come risposta ai raid condotti pochi giorni prima dalla polizia di Mombasa in alcune moschee della città portuale. Nel corso della “rappresaglia” gli shabaab hanno dimostrato una particolare ferocia: prima hanno costretto tutti i passeggeri a scendere e poi li hanno divisi in due gruppi, somali e non somali, obbligando quest’ultimi a leggere versetti del Corano e quelli che non erano in grado di farlo sono stati separati dagli altri e giustiziati sommariamente.
Per raccontare la storia del movimento Harakat al-Shabaab al-Mujaahidiin è necessario tornare all’estate 2006, quando l’Unione delle Corti islamiche, con l’appoggio della popolazione di Mogadiscio e col sostegno di Libia e Arabia Saudita, pose fine al dominio dei brutali signori della guerra in Somalia. Al-Shabaab si sviluppa in questo periodo come la fazione più giovane, disciplinata e radicale delle Corti islamiche. E, dopo l’uscita di scena di quest’ultime, l’organizzazione diventa più forte e influente di qualsiasi altro gruppo armato nel Paese del Corno d’Africa.
Tanto che fino a due anni fa, al-Shabaab aveva il controllo di buona parte del territorio somalo. Poi, sotto l’offensiva congiunta dell’esercito governativo e del contingente AMISOM è stato costretto ad abbandonare Mogadiscio e diverse altre città del sud del paese, tra cui l’importante porto di Chisimaio. Fino ad arrivare all’inizio dello scorso ottobre, quando i suoi membri sono stati costretti a ritirarsi anche da Barawe (200 chilometri a sudovest della capitale), l’ultimo grande porto controllato dai fondamentalisti islamici, tornato dopo ventitre anni sotto il controllo di Mogadiscio.
Ciononostante, al-Shabaab è ancora considerato il più temibile gruppo radicale islamico operante in Africa orientale e nel Corno. Il Dipartimento di Stato Usa, che nel febbraio 2008 lo ha inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche, nel suo ultimo Country report on terrorism evidenzia come la milizia islamista mantenga un certo controllo in alcune zone rurali della Somalia, nonché una presenza destabilizzante in alcune aree urbane, dove è ancora in grado di operare in relativa sicurezza3.
Nel 2012 gli estremisti islamici hanno giurato obbedienza ad al-Qaeda e tale adesione ha provocato pesanti contrasti all’interno del movimento, già in difficoltà a causa dell’arresto e dell’eliminazione di alcuni dei suoi capi. L’ultimo dei quali Ahmed Abdi Godane, il cui nome di battaglia era Sheik Mukhtar Abu Zubeir, è stato ucciso lo scorso settembre da un attacco aereo statunitense, nello stesso modo in cui nel 2008 fu eliminato il suo predecessore Aden Hashi Farah Ayro. E alla fine dello scorso anno, la stessa sorte è toccata a Tahliil Abdishakur, che era a capo dell’unità responsabile degli attacchi suicidi del gruppo somalo.
In particolare, l’uccisione di Godane, considerato la mente dell’attentato allo shopping center di Nairobi, è stato un duro colpo per al-Shabaab, che dopo la sua morte lo ha sostituito con Amnyat Mahad Omar Alì, 40 anni, noto come Abu Ahmed Omar Ubeidi. E’ evidente che con l’eliminazione di molti dei suoi leader e la cacciata da Mogadiscio e da Chisimayo, l’organizzazione ha subito un forte contraccolpo organizzativo e logistico, anche per il venir meno delle sue risorse economiche. Tutto ciò ha costretto gli estremisti somali al ritiro in aree periferiche di scarso valore strategico.
Al-Shabaab è comunque riuscita a ricavarsi nuovamente uno spazio lungo la costa, a metà tra Mogadiscio e Kisimayo, da dove il movimento ha potuto ancora una volta alimentare i propri traffici illeciti e il saccheggio degli aiuti umanitari, oltre a portare a termine nuovi e sanguinosi attacchi anche nella zona costiera del Kenya. In due dei quali, lo scorso giugno, nella cittadina di Mpeketoni hanno perso la vita più di cento persone che stavano guardando una partita dei Mondiali di calcio in televisione. Da notare che in Kenya, il gruppo è riuscito a reclutare nelle sue fila numerosi giovani. Non a caso, la polizia keniana ha scoperto armi e testi clandestini inneggianti alla violenza religiosa in diverse moschee di Mombasa, trasformate in madrasse, dove si radunavano centinaia di fedeli per “approfondire” il Corano.
In conclusione, seppur ridimensionato, il gruppo islamista sembra quindi destinato a sopravvivere continuando a costituire una seria minaccia per la Somalia, per le truppe dell’AMISOM e per la sicurezza dei Paesi dell’area. Mentre la strategia è paragonabile a quella di Boko Haram, anche se, a differenza della Nigeria, gli episodi di sangue restano molto più circoscritti.
Marco Cochi
Country Analyst
1 Tra l’ottobre 2011 e la fine del 2014 sono stati registrati 135 attacchi in territorio keniano da parte di miliziani shabaab
2 La fase operativa dell’AMISOM (African Mission to Somalia), ha avuto inizio il 12 febbraio 2007. Alla missione di pace prendono parte circa 17mila effettivi appartenenti a sei Paesi africani (Burundi, Ghana, Malawi, Nigeria, Tanzania ed Uganda). L’AMISOM è stata autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU con la Risoluzione 1744 del 21 febbraio 2007
3 Cit., United States Department of State Publication Bureau of Counterterrorism, “Country Reports on Terrorism 2013”, Aprile 2014
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