Le vestali del 25 Aprile hanno celebrato il loro rito anche quest’anno, quando il cosiddetto lockdown è ancora in piedi, col compiacimento istituzionale e governativo, nella copertura totalitaria del mainstream mediatico e nell’imbarazzo di un’opposizione politica che non c’è nemmeno su questo terreno.
Facciamo un passo indietro. Bisogna riconoscere al Cavaliere, al suo apparire sulla scena politica, sull’onda della lezione di Craxi sul superamento della logica ciennellennista che gli è costata insieme a Sigonella la vita, di essere riuscito nello sdoganamento della destra missina. Ma allora questa operazione era funzionale al regime change ed al Britannia, il panfilo di Her Majesty, del 1992-93, alle privatizzazioni ed alla liquidazione delle partecipazioni statali, allo smantellamento di quel sistema misto pubblico-privato avviato negli anni 30 e rilanciato dal Codice di Camaldoli e dalla DC come motore della Ricostruzione del dopoguerra. E poi Gianfranco Fini comunque era un leader su cui si poteva ragionevolmente contare, la svolta di Fiuggi del 1995 con la costituzione di Alleanza Nazionale recideva quei legami col “fascismo immenso e rosso” la cui ideologia impediva un utilizzo anche meramente strumentale dell’esperienza missina. Sì, qualcuno allora si illuse che, cogliendo lo spirito del lavoro di De Felice, si aprisse una stagione nuova di revisione storiografica che mettesse fine alla divisione, per fare della ricorrenza dell’insurrezione generale dell’Alta Italia il giorno della libertà riconquistata per tutti. E qualche scampolo negli anni 90 c’è stato, ricordo gli articoli di Franco Bandini, mi pare sul Giornale di Feltri, sulla guerra italiana, come corollario del suo best seller di fine anno 60, Tecnica della sconfitta, lo ha ripubblicato recentemente Florence Press, ma non fino ad arrivare a sviluppare il filo di quell’inchiesta capolavoro Il Cono d’ombra, edito dalla Sugarco nel 1990, sull’assassinio dei fratelli Rosselli a Bagnoles-de-l’Orne il 9 giugno 1937 recensito con enfasi dal Sabato, un settimanale di prorompente innovazione di area CL, che nemmeno noi giovani craxiani di rottura osammo presentare a Firenze, salvo leggerlo voracemente. Anche Marcello Veneziani con l’Italia settimanale provò a cavalcare l’occasione storica dell’uscita dalla Prima Repubblica per ricucire una memoria condivisa, la base indispensabile di una coscienza patriottica, ma durò poco, 1992-95. E poi venne Pansa, che con il suo straordinario mestiere riuscì a dare rilievo di massa, ispirerà anche un bel film coraggioso Il sangue dei vinti del 2008, al dramma della guerra civile combattuta nel 1943-45 in particolare nel Nord Italia. Giorgio Pisanò ne aveva anticipato da par suo la narrazione, ma su di lui, missino, la damnatio memoriae non poteva non occludergli il circuito di massa.
Ma così non è stato, bisogna prenderne atto. Fa fatica persino il riconoscimento del genocidio delle foibe nei territori istriani e dalmati, sconosciuti ormai ai più giovani, nonostante un certo impegno pubblico, figuriamoci!
Per farla breve, benché ultimamente si sia enfatizzato il reciproco rispetto tra Berlinguer ed Almirante, stando allo sbraitare sui social degli “ora e sempre Resistenza” e dei “negazionisti”, alla muta passività dei sostenitori della “riconciliazione nazionale”, ad un visitatore piovuto dal cielo sembrerebbe di vivere a ridosso del 25 aprile 1945 e non a 75 anni di distanza, tanta è l’acredine espressa dalle due fazioni e dal suo utilizzo per la politica dell’oggi, dalla questione dei migranti a quella gender. Eppure nel primo dopoguerra e fino al sessantotto, dentro al boom economico-sociale italiano le due anime della guerra civile hanno convissuto per il comune bene nazionale, l’ENI di Mattei ne è stata un esempio, lasciandosi alle spalle la sciagura della guerra perduta che mai avrebbe dovuto essere dichiarata ed il mito della “Resistenza tradita”. Quel modello bisognerebbe rilanciare ora più che mai, mentre il Paese si trova dentro una crisi dagli esiti imprevedibili, con il rischio di implosione dell’Unione Europea in un disordine globale ed un multipolarismo a geometria variabile che non offre punti di riferimento stabili. Tanto da far guardare con occhi più benevoli quei due blocchi, il sistema occidentale è quello comunista, che garantivano se non altro il riconoscimento reciproco. Con la caduta del Muro di Berlino, a partire dalla prima guerra del golfo e dalla disintegrazione jugoslava, è iniziato un tourbillon che ha investito il sistema internazionale e che ha reso obsoleti gli strumenti di supposto equilibrio come l’ONU ed i suoi derivati, un fenomeno a cui stiamo assistendo proprio in questi giorni nello scontro USA-Cina sull’OMS. Allora cerchiamo di uscire da questo confinamento, è il termine italiano più appropriato per l’Accademia della Crusca al posto di questo lockdown, giuridicamente poco fondato, che, secondo ItaliaOggi, è usato nel linguaggio carcerario americano, con una rinnovata volontà generale, facendo del 25 Aprile la festa di tutti gli italiani che amano la libertà. Non è una banalità buonista, ma una necessità urgente se vogliamo essere all’altezza della sfida reale, non contro i mulini al vento di un passato che non ritornerà più, per nessuno.
Vorrei consigliare a tutti di non perdersi le ultime due puntate di Diavoli, questa fiction di Sky, interessante per molti aspetti sul piano della sceneggiatura e della produzione, centrata sul mondo della Finanza, la Grande Finanza, il cui potere ha completamente sostituito la politica, senza prenderla a braccetto come prima, per determinarla direttamente e manovrarla verso l’unico scopo che la anima, il guadagno, vorrei dire l’ingiusto guadagno.
Ecco questo è il mondo reale di oggi nel quale e col quale fare i conti. Le divisioni della Storia che abbiamo attraversato nel Novecento ricco di progresso tecnologico quanto sanguinoso, non diventino un alibi per la nostra rassegnazione a trasformarci da portatori di diritti a consumatori senz’anima e senza libertà.
Gianni Bonini
Senior Fellow del think tank “Il Nodo di Gordio”
© RIPRODUZIONE RISERVATA