Il recente viaggio del ministro Salvini in Qatar, e soprattutto le dichiarazioni rilasciate dallo stesso al suo ritorno hanno lasciato uno strascico di polemiche in parte motivate, in parte pretestuose. E bene ha fatto Augusto Grandi, sul sito di Electomag, a ricordare che la politica internazionale non si fa con logiche falsamente manichee o con moralismi d’occasione.
È, dunque, necessario tenere presente come la diplomazia di un paese, sia politica che economica, debba ispirarsi a criteri di realismo, senza chiusure pregiudiziali nei confronti di qualsivoglia potenziale partner. Ed è, però, contemporaneamente indispensabile analizzare gli scenari in cui questa azione diplomatica deve svilupparsi, per evitare di incorrere nel facile rischio di improvvisazione e conseguenti errori.
Il Qatar è in effetti un importante attore dell’odierna scena geopolitica, particolarmente attivo non solo nella regione del Golfo, ma anche in quella ben più vasta del Mediterraneo. Dove ha avuto un ruolo non secondario in alcuni rivolgimenti politici di cui stiamo ancora vivendo le conseguenze. E pensiamo particolarmente alla Libia, dove Doha ha partecipato in molti modi – con aiuti economici ai ribelli, invio di forze speciali, e soprattutto appoggio mediatico – all’operazione che ha portato alla caduta di Gheddafi e del suo regime. E continua ad avervi un ruolo, soprattutto nell’appoggiare milizie, come quelle di Misurata, che sono ideologicamente (e non solo) connesse con la Fratellanza Musulmana. La cui leadership ha notoriamente sempre trovato ospitalità nel Qatar. Proprio questo stretto rapporto con la Fratellanza ha alienato i rapporti tra la dinastia degli al Thani e le altre petro-monarchie del Golfo, nonché con l’Egitto da quando al Sisi ha scalzato il governo Morsi, espressione delle frange più politiche della Fratellanza. Il rischio di isolamento nel mondo arabo sunnita, ha di conseguenza spinto il Qatar ad avvicinarsi ad Ankara, dove il presidente Erdogan ha più volte manifestato l’ambiziosa strategia di assumere la leadership dei paesi sunniti facendo leva proprio sui Fratelli Musulmani. O per lo meno su quei settori dell’Ikwan – in verità un mosaico molto più complesso di quanto comunemente si creda – che sembrano più propensi ad un’evoluzione di carattere politico verso forme di partecipazione alle contese elettorali. Come nel caso di Morsi in Egitto, appunto.
Inoltre Doha ha assunto anche una posizione distinta nella questione, delicatissima, dei rapporti con l’Iran, dimostrandosi molto più disponibile delle altre monarchie della Penisola Arabica a dialogare con Teheran, e soprattutto a sfruttare la revoca delle sanzioni conseguente agli accordi di Ginevra. Accordi fortemente voluti da Barack Obama, con il quale gli al Thani intrattenevano una sorta di relazione privilegiata. Relazione, ovviamente, raffreddatasi con Trump, la cui strategia guarda piuttosto ai Sauditi e agli Emirati Arabi come interlocutori privilegiati nella regione.
Questo, in modo forzatamente molto approssimativo, lo scenario. Nel quale per l’Italia è necessario muoversi con estrema cautela. Perché, certo, le potenzialità delle relazioni economiche con il Qatar non vanno ne’ sottovalutate, ne’ tantomeno trascurate. Tuttavia non si deve perdere di vista la necessità primaria di riportare in stabilità la Libia e, di conseguenza, tutto il quadrante mediterraneo. E quindi di stringere sempre di più le relazioni con quei paesi del mondo arabo che si muovono nella stessa direzione. Che, come abbiamo già avuto occasione di accennare, sono soprattutto due. L’Egitto, con il quale l’Italia ha anche notevoli interessi economici in comune, e gli Emirati Arabi. Che per loro storia, tradizione e cultura rappresentano nella Penisola Arabica una forza che tende alla stabilizzazione e che cerca di sedare, non acuire, i conflitti nel mondo arabo sunnita. Tradizione di principi mercanti, presente di un grande polo finanziario, che per altro si avvicina alla scadenza cruciale dell’Expo di Dubai. Occasione cruciale che necessita di pace e stabilità politica in tutto il mondo arabo e nei paesi vicini.
Tutte cose di cui a Roma si deve cominciare a tenere debito conto per delineare una strategia geopolitica coerente, in particolare in prossimità del Vertice di Palermo sulla Libia.
Andrea Marcigliano
Senior fellow think tank “Il Nodo di Gordio”