Pubblichiamo l’analisi sull’evoluzione delle reti terroristiche realizzata da Marco Cochi, Country analyst del think tank “Il Nodo di Gordio”, a seguito dell’attentato di Barcellona nell’intervista di Osvaldo Migotto per il Corriere del Ticino.
Il Marocco usa il pugno di ferro contro l’estremismo islamico. I suoi imam radicali riescono però a raggiungere l’Europa e diffondere la loro ideologia di odio. Abdelbaki Es Satty, che avrebbe indottrinato i giovani che hanno colpito in Catalogna la scorsa settimana, è uno di questi. Che tipo di collaborazione vi è tra autorità marocchine e spagnole nella segnalazione di imam radicali e più in generale nella lotta all’estremismo islamico?
L’ultimo ‘Country Report on Terrorism’, pubblicato il mese scorso dal dipartimento di Stato americano, ha evidenziato la complessa strategia per contrastare la minaccia del terrorismo jihadista adottata dal Marocco, che include misure di prevenzione, cooperazione regionale e interregionale e politiche anti-radicalizzazione. Una collaborazione fattiva con gli inquirenti spagnoli è nell’attività di monitoraggio che la Direzione generale per la sorveglianza territoriale del Marocco esercita con le agenzie di sicurezza spagnole sulle enclave nordafricane di Ceuta e Mellila, considerate il punto nevralgico della rete dei terroristi islamici spagnoli di seconda generazione, originari del Marocco.
Secondo i media spagnoli nell’ultimo decennio i predicatori salafiti in Catalogna sono raddoppiati. Come mai non si riesce a contenere la diffusione di questi pericolosi fautori della guerra santa?
La Spagna è uno dei primi cinque stati dell’Unione europea in termini di popolazione musulmana e nello specifico Barcellona ospita la più grande comunità islamica del Paese, oltre ad avere la più ampia concentrazione di islamisti radicali d’Europa. Oltre a essere raddoppiati nell’arco di un decennio, attualmente i predicatori radicali in Catalogna controllano una moschea su tre. Nel contempo sono anche proliferate le moschee illegali, spuntate nei garage, nelle cantine, nelle abitazioni private e nei retrobottega. Oltre alle cento, già smantellate, in tutta la Spagna dovrebbero essercene circa altre 800. Di fronte a questi numeri è facile arguire perché non si riesce a contenere la diffusione di questi pericolosi propugnatori del jihad.
Spesso in Europa i giovani si radicalizzano durante la detenzione in carcere. Avviene la stessa cosa anche nei Paesi del Nord Africa?
Uno studio pubblicato lo scorso ottobre dal Centro internazionale per lo studio della radicalizzazione e la violenza politica (ICSR) di Londra ha evidenziato come nelle prigioni europee i gruppi jihadisti trovino terreno fertile nel reclutamento di nuovi combattenti, soprattutto perché alcuni criminali vedono l’estremismo violento come una forma di riscatto per i loro misfatti. Gli analisti dell’ICSR hanno osservato che il 27% dei jihadisti europei monitorati si è radicalizzato dietro le sbarre, mentre il 57% era stato in carcere prima di avvicinarsi all’estremismo islamico. Un altro recente studio del Centro di ricerca europeo GSDRC ha esaminato il fenomeno della radicalizzazione in Nord Africa, stabilendo che le carceri svolgono un ruolo significativo nelle narrazioni di movimenti radicali islamici, tanto da essere considerate “incubatori” per la radicalizzazione degli aspiranti jihadisti nordafricani.
Le autorità spagnole che lezione dovrebbero trarre dai tragici datti di Barcellona e Cambrils?
Dopo l’attacco terroristico dell’11 marzo 2004, le agenzie di sicurezza spagnole hanno adottato un approccio preventivo per arginare la radicalizzazione, che ha registrato circa 170 operazioni e oltre 700 arresti, cui sono seguiti decine di condanne contro sospetti jihadisti. Fino a giovedì scorso, le autorità spagnole si sono dimostrate molto efficaci nel prevenire attentati terroristici. Purtroppo, questa volta qualcosa la prevenzione non ha funzionato a dovere e gli inquirenti spagnoli, come in passato, sapranno trarre proficuo insegnamento da quanto accaduto.
In Spagna la comunità islamica è in buona parta rappresentata da marocchini, vista la vicinanza geografica tra i due Paesi. Con il flusso di migranti che è tornato a crescere negli ultimi mesi cresce anche il rischio di infiltrazioni di estremisti islamici?
Non è assolutamente da escludere che i gruppi islamisti possano sfruttare il traffico migratorio per infiltrare dei jihadisti verso l’Europa. Tuttavia, nonostante ricorrenti warning, finora tale rischio non ha trovato specifici riscontri riguardo la direttrice nordafricana.