I territori che insistono nell’area definita West Bank sono al centro di una storica contesa tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese. Si sente parlare sempre più spesso di quest’area soprattutto dopo le dichiarazioni del Presidente Trump intenzionato ad appoggiare la politica del governo israeliano in merito alla realizzazione di nuovi insediamenti (settlements) israeliani o all’espansione di quelli già esistenti.
E’ proprio in questa zona dal clima incandescente che è operativa un’importante missione che vede l’Italia impegnata in prima linea. Ad Hebron, che gli ebrei chiamano Hevron e gli arabi Al-Khalil, è presente – come previsto all’art. 17 di un apposito Protocollo firmato tra israeliani e palestinesi nel 1997 – la Temporary International Presence in Hebron (TIPH) di cui fa parte un contingente di 15 carabinieri. La TIPH è una missione diplomatica che non si inserisce, come di consueto, nelle classiche organizzazioni internazionali (ONU, NATO, UE), ma è nata dall’accordo tra palestinesi ed israeliani ed è pertanto unica nel suo genere.
I Paesi che partecipano alla missione sono: Italia, Norvegia, Svezia, Svizzera e Turchia, i quali finanziano interamente la missione. L’ultimo membro del contingente danese ha lasciato la missione il 28 febbraio. I nostri carabinieri sono l’unico personale militare, mentre la Turchia è l’unico contingente costituito interamente da poliziotti. Gli altri contingenti sono costituiti da civili di profilo professionale eterogeneo.
Essendo però la TIPH una missione civile tutti gli osservatori sono disarmati. Alla Norvegia spetta la leadership e a guidare i 63 osservatori civili in questo momento è il generale di brigata Einar Johnsen, che ha la responsabilità operativa oltre ad essere responsabile di tutte le attività. Il vice capo missione è sempre un italiano ed attualmente è il tenente colonnello dei carabinieri Emanuele Pipola. Non è facile descrivere questa fetta di terra “contesa” da Israele e Autorità Nazionale Palestinese, ancora più difficile è visitarla come normale turista, ma grazie ai carabinieri italiani mi è stato possibile.
Comunemente chiamato Cisgiordania (letteralmente vuol dire su questo lato del Giordano prendendo Gerusalemme come punto di riferimento), in inglese West Bank (sponda occidentale), mentre per gli ebrei si tratta della Giudea e Samaria, i due regni biblici. Questa zona di quasi 5900 km² è stata parte integrante dell’Impero Ottomano per quattro secoli, nel 1948 dopo la fine del mandato britannico sulla Palestina, con l’esclusione di Gerusalemme per la quale era previsto un regime internazionale, avrebbe dovuto far parte dello stato arabo-palestinese previsto dal piano di spartizione dell’ONU del novembre del ’47, ma durante il conflitto del 1948-49 fu occupato dalla Giordania e poi annesso.
Nel corso della Guerra dei sei giorni (giugno 1967) su questo territorio si è insediato Israele. Dopo la guerra, un gruppo di ebrei che si fingevano turisti, guidati dal rabbino Moshe Levinger, si stabilirono nel principale hotel di Hebron rifiutando di lasciarlo. In seguito si posizionarono in una base militare abbandonata fondando l’insediamento di Kiryat Arba. Nel 1979 la moglie di Levinger insieme ad un gruppo di trenta donne presero dimora in un edificio abbandonato che in passato era stato l’ospedale Beit Hadassah, nel pieno centro di Hebron.
Con la risoluzione 242 del novembre 1967, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha disposto che Israele si ritirasse “da” o “dai” territori occupati (a seconda della versione inglese o francese del testo), risoluzione contestata da Israele. Nel 1988, la Giordania ha ritirato tutte le pretese su questo territorio concedendo la sovranità all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) guidata da Yasser Arafat.
Gli Accordi di Oslo, negoziati segretamente nella capitale norvegese il 20 agosto 1993 e siglati il 13 settembre a Washington dal Primo Ministro di Israele Yitzhak Rabin e Arafat, davanti al Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, dichiararono la West Bank soggetto di un accordo tra Israele e la leadership araba palestinese. Il clima di speranza e di fiducia è stato però profondamente segnato da un episodio drammatico.
A complicare la già difficile gestione dei territori è stata la strage commessa, il 25 febbraio del 1994, a Hebron da Baruch Goldstein. Colono residente a Kiryat Arba, medico ed ex ufficiale dell’esercito, Goldstein è entrato in moschea ed ha ucciso 29 musulmani riuniti in preghiera durante il ramadan e ne ha ferito 125. A fine giornata si contavano in tutto 60 vittime, ai 29 musulmani si aggiungevano 26 palestinesi uccisi dall’esercito israeliano e 5 israeliani massacrati dalla folla, tra cui lo stesso attentatore morto per mano dei superstiti.
A rendere ancora più sintomatico l’evento è stato il luogo dove fu compiuto: la Tomba dei Patriarchi, luogo sacro sia per gli ebrei, che la chiamano grotta di Machpela (Me’arat HaMachpela “la grotta delle tombe doppie”), che per i musulmani, che la definiscono Moschea di Ibrahim (Abramo).
L’imponente struttura all’interno è divisa in due parti – una ebraica e l’altra musulmana – da una porta in ferro, mentre all’esterno vari checkpoint regolano l’accesso alla moschea e alla sinagoga. È considerata luogo di sepoltura di Abramo e Sara, le cui cenotafi si possono vedere da entrambe le parti attraverso due rispettive finestre, Giacobbe e Lia – le tombe si trovano nella parte ebraica – e Isacco e Rebecca, i cui cenotafi si trovano in una grande sala della moschea.
Dopo il massacro di Hebron, che ha inasprito ulteriormente la convivenza tra ebrei e palestinesi, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la risoluzione n. 904, ha invitato la comunità internazionale ad intervenire per proteggere con idonee misure la popolazione civile palestinese. Yasser Arafat ha ritirato la delegazione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) da ogni ulteriore negoziato per la pace con Israele e ha dichiarato la sua disponibilità a rivedere le sue decisioni solo se fossero stati inviati a Hebron degli osservatori internazionali.
Con la mediazione di Danimarca, Norvegia e Italia, il 31 marzo del ’94 Israele e l’Olp firmarono al Cairo un accordo che prevedeva la presenza temporanea internazionale di un contingente multinazionale a Hebron – Temporary International Presence in Hebron -, composto da unità disarmate chiamate osservatori di Polizia (Police observers) con il mandato principale di promuovere la stabilità e ristabilire una vita normale a Hebron.
La prima missione della TIPH fu attiva dall’8 maggio all’8 agosto 1994 perché le due parti, israeliana e palestinese, non raggiunsero un accordo sull’estensione del mandato. In quei mesi per gli osservatori non è stato facile allentare il clima di forte tensione aggravato anche da situazioni conflittuali.
Dopo la missione i negoziati sono riparti e una seconda fase delle trattative, denominata Oslo II, ha portato agli accordi del 28 settembre 1995 che riguardavano la West Bank e la Striscia di Gaza; furono precisate le modalità dell’autonomia palestinese e la sua estensione geografica; il parziale ritiro dell’esercito israeliano da Hebron e la costituzione di una nuova missione di osservatori internazionali.
Insieme al graduale ritiro delle forze israeliane e ad un ulteriore ampliamento di autonomia per i palestinesi, è stata prevista la suddivisione della West Bank in tre settori: zona A, sotto il controllo palestinese; zona B, sotto il controllo congiunto israelo-palestinese; zona C, sotto il controllo israeliano. Mesi dopo le città di Nābulus, Rāmallāh, Jenin, Tulkaram, Kalkilya e Betlemme sono passate sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese.
Un altro episodio che merita di essere menzionato è stata l’uccisione la sera del 4 novembre 1995 del Primo Ministro Rabin. Alla fine di una manifestazione in sostegno agli accordi di Oslo, Rabin fu ucciso da un colono ebreo estremista, Ygal Amir, che non accettava l’esistenza di uno Stato palestinese, il quale nascosto tra la folla gli sparò due colpi di pistola. Negli anni però gli accordi e le intese tra Governo israeliano e Autorità Nazionale Palestinese sono proseguiti anche se la situazione nell’area continua ancora oggi ad essere incandescente e gli scontri tra le due parti sono all’ordine del giorno.
Attuando quanto deciso ad Oslo, il 1° gennaio del 1997 un ulteriore accordo tra le due parti ha previsto il ritiro dell’esercito israeliani dai territori di Hebron. Inoltre, l’Italia, la Norvegia, la Svezia, la Danimarca, la Svizzera e la Turchia furono formalmente invitati, con lettera congiunta israelo-palestinese dell’8 gennaio, a partecipare con un proprio contingente di osservatori disarmati ad una nuova Missione di Presenza Temporanea Internazionale, denominata TIPH 2, naturale prosecuzione di quella del 1994.
Il 1° febbraio del ’97 la seconda missione multinazionale è diventata formalmente operativa sul terreno e gli osservatori hanno iniziato a pattugliare Hebron. In una riunione ad Ankara del novembre 1999 la TIPH 2, che intanto era stata continuamente prorogata, fu ristrutturata e il numero degli osservatori venne diminuito.
Il 26 marzo del 2002 la missione è stata segnata dalla morte di due osservatori, la svizzera Catherine Berruex di 26 anni e il turco Turgut Cengiz Toytunç di 38 anni, uccisi sulla Bypass Road 35, a nord di Hebron, da un uomo che ha sparato contro la loro auto di servizio. Un terzo osservatore, il turco Husseyin Ozarslan di 36 anni, è sopravvissuto all’attacco. Ai primi di febbraio del 2006 a seguito di alcuni scontri, a Hebron si sono registrati momenti di forte tensione. Per motivi di sicurezza il 10 febbraio una parte del personale è stato rimpatriato e la restante parte rischierata a Gerusalemme. Il 26 giugno 2006, il personale italiano del contingente è rientrato ad Hebron e nella seconda decade di luglio ha ripreso l’attività di pattugliamento diurno dentro Hebron. La normale attività della TIPH è stata ripristinata il 24 ottobre 2006 ed è tutt’ora in corso.
“I compiti di osservazione – ci spiega il tenente colonnello Emanuele Pipola, alla sua terza missione ad Hebron – vengono principalmente svolti da pattuglie che monitorano la situazione nell’area di responsabilità, che è divisa in due zone amministrate dai palestinesi: H1 e H2. In quest’ultima la sicurezza è però devoluta agli israeliani, in ragione della presenza degli insediamenti”.
“La missione sta finanziando – prosegue – numerosi progetti, tra i quali quelli relativi all’apertura di un ambulatorio e di un centro di supporto per le donne. Inoltre ha recentemente realizzato la costruzione di un centro polisportivo che comprende anche una piscina coperta. Tutte opere che riscuotono il plauso unanime delle popolazione e delle autorità locali”.
Oggi il mandato della TIPH è il risultato delle varie negoziazioni fra le parti. I compiti del personale impiegato sono di:
- promuovere con la propria presenza un senso di sicurezza nei palestinesi di Hebron;
- concorrere nella promozione della stabilità e di un ambiente idoneo a favorire il miglioramento del benessere dei palestinesi ed il loro sviluppo economico;
- osservare gli sviluppi della pace e della prosperità tra i palestinesi;
- incoraggiare lo sviluppo economico e la crescita in Hebron.
La TIPH può operare indistintamente sia nell’area sotto controllo palestinese che in quella sotto controllo israeliano. Il personale della missione non ha compiti militari o di polizia; non può condurre indagini, ma solo raccogliere informazioni aggiuntive per fornire relazioni più esaustive su quanto osservato. I rapporti redatti vengono inoltrati ai comitati congiunti israelo-palestinesi previsti dagli accordi, i quali sono competenti a darne seguito nel caso venissero riscontrate violazioni degli accordi internazionali o dei diritti umani universalmente riconosciuti.
“L’importanza della presenza della TIPH – evidenzia il tenente colonnello Pipola – è di tutta evidenza se si considera che fra i propri obbiettivi è compresa la promozione della stabilità, del benessere e di un senso di sicurezza per la popolazione palestinese di Hebron. Gli osservatori non possono intervenire in alcuna disputa, se non esclusivamente per documentare con foto, filmati e relazioni scritte – senza prendere mai parte – le eventuali violazioni rilevate. In un contesto reso particolarmente complesso dalla difficile convivenza tra residenti israeliani e palestinesi, è dunque richiesta l’assoluta imparzialità degli operatori”.
“Le violazioni dei diritti umani – aggiunge -, del diritto internazionale umanitario e degli Accordi di Oslo rilevate dagli osservatori, vengono descritte in relazioni (reports) riservate che, al termine di un processo di elaborazione che comprende numerose fasi, vengono poi eventualmente inviati alle parti palestinese ed israeliana, nonché ai governi dei Paesi contributori. Le principali violazioni sono registrate in H2 e riguardano, ad esempio, restrizioni di movimento imposte ai palestinesi, utilizzo di loro terreni in violazione della proprietà privata ovvero utilizzo esclusivo di spazi pubblici, consolidamento o espansione degli insediamenti israeliani, ma anche proteste e scontri dei palestinesi con le Forze di Sicurezza Israeliane (ISF). Anche le restrizioni nell’espletamento del mandato della TIPH (negata libertà di movimento o possibilità di fotografare/filmare) costituiscono oggetto di rapporto”.
“In questo ambiente così particolare – conclude il vice capo missione -, l’operato dei Carabinieri spicca per la straordinaria efficacia nell’espletamento del mandato. La vocazione dell’Arma al sostegno del cittadino si sposa infatti egregiamente con le necessità di una popolazione che vive in condizioni estremamente difficili, come quella palestinese di Hebron. La maggiore soddisfazione per i Carabinieri del contingente italiano della TIPH risiede proprio nella consapevolezza del contributo fornito a quel senso di sicurezza auspicato dagli Accordi di Oslo e a cui la popolazione locale tanto anela”.
Gli osservatori della TIPH tutti i giorni sono presenti nei punti caldi di Hebron, tra cui la città vecchia; Tel Rumeida, che è adiacente al vecchio cimitero ebraico e al sovrastante rione palestinese di Abu Sneina; Avraham Avinu; Tariq Bin Ziad; Jabal Jawhar; Beit Romano; Beit Hadassa; Beit Chason; Beit Schneerson; Givat HaAvot; Beit Kastel, monitorando l’area e stando bene attenti ad ogni particolare, ad ogni possibile violazione.
A settembre scorso, durante un normale pattugliamento a piedi nel centro di Hebron, due osservatori della TIPH hanno visto un palestinese uscire da casa gridando aiuto e tra le braccia aveva un bambino che non respirava più. Immediatamente hanno prestato il primo soccorso, ma uno dei due, un maresciallo dei carabinieri, ha effettuato sul bambino determinate manovre di soccorso che hanno salvato la vita del piccolo, infatti dopo pochi secondi aveva ripreso a respirare. Il bimbo è stato dapprima visitato da un medico israeliano giunto sul posto in ambulanza e poi portato in ospedale per ulteriori esami da un’ambulanza palestinese, dopo che il personale medico si era consultato con il medico israeliano; ma ormai il piccolo paziente era fuori pericolo.
Hebron, che si trova a 40 chilometri a sud di Gerusalemme, è circondata intorno da colline di ulivi, viti e alberi da frutto ed è famosa per le fabbriche di ceramiche, di vetro soffiato, di calzature, per la produzione tessile delle kefiah e per la lavorazione della pietra. In città ovunque ci sono checkpoint militari; restrizioni di movimento; muri di cemento nel mezzo delle strade e tra una casa e l’altra; strade chiuse da filo spinato; case avvolte da grate di ferro per proteggere chi ci abita dalle molestie del vicino o per tamponare il continuo lancio di pietre tra le abitazioni delle due parti. Senza dimenticare i tentativi di accoltellamento da parte dei palestinesi nei confronti dei soldati dell’Israeli Defence Force (IDF), i quali per difendersi spesso uccidono gli autori del gesto.
La difficile convivenza tra israeliani e palestinesi è visibile anche nel suk, qui le finestre delle abitazioni dei coloni ebrei (settlers) si affacciano sulla centralissima via del mercato che a sua volta è piena di negozi e banchetti di proprietà dei palestinesi. Per impedire che gli oggetti buttati giù dagli ebrei possano colpire chi transita, tra le finestre delle case e le attività commerciali è stata installata una rete di metallo che impedisce il passaggio di qualunque oggetto, ad eccezione dei liquidi.
Al centro di un’aspra contesa tra le due parti, nella zona H2, è la strada ‘Shuhada Street‘, che gli ebrei chiamano ‘King David Street‘, tra la grotta di Macpela e l’insediamento ebraico di Tel Rumeida. La via, che collega i quartieri centrali di Hebron con quelli a nord e a sud, un tempo era la principale arteria commerciale cittadina. Nel ’94 dopo la strage compiuta da Baruch Goldstein la strada è stata prima presidiata dai militari e poi nel 2000 chiusa completamente al traffico. Oggi si presenta deserta, con le saracinesche dei negozi abbassate ormai da anni, diversi checkpoint militari israeliani ne controllano l’accesso e non mancano tensioni e scontri tra settlers e palestinesi che abitano lungo la via.
Alla rivendicazione territoriale che vede contrapposti gli israeliani, intenti ad espandere i loro insediamenti, e i palestinesi, che vogliono avere una propria terra, si aggiunge la teoria secondo cui ad Hebron sia vissuto Re Davide durante i suoi sette anni e mezzo di regno, ma c’è anche chi sostiene che proprio qui si trova la sua tomba. Affermazioni che acuiscono le già note divergenze tra le due parti.
Clara Salpietro
Giornalista professionista,
si occupa di Difesa, Geopolitica, Terrorismo ed Intelligence,
è esperta di Medio Oriente e Balcani
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