Nell’incantevole Sala del Mappamondo di Montecitorio, di fronte ad un pubblico numeroso, si è svolta, lo scorso 16 marzo, la conferenza “La minaccia della radicalizzazione jihadista nei Balcani: una sfida per la sicurezza europea”, organizzata dalla Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della NATO in collaborazione con il C.E.S.I., in cui si sono volute esplorare la virulenza del fenomeno interrogandosi sulle strategie attive o ipotizzabili per la prevenzione, l’avanzata e la sconfitta del fenomeno.
Tutti i relatori si sono mostrati concordi sul fatto che questo fenomeno e la sua progressiva dimensione internazionale è spesso trascurata in quanto la pubblica opinione è catalizzata soprattutto dagli ultimi disordini, dalle incertezze della scena politica mondiale, dalla perdurante crisi economica, dall’immigrazione massiccia, dall’avanzata dei partiti populisti, dal contenzioso turco – olandese, dal prossimo referendum turco. E proprio la scarsa generale attenzione al fenomeno è una delle concause della sua espansione.
Secondo il Prof. Dragan Simeunović, Direttore dell’Accademia di Sicurezza Nazionale di Belgrado, il fenomeno è in crescita. Sostanzialmente latente dal 1939, cioè dalla costituzione dei Giovani Musulmani, l’arrivo dei Mujahiddin e l’istituzione di NGOs islamiche durante le guerre jugoslave hanno dato solo ulteriore spinta al radicalismo islamico. Questi gruppi, che contano fino a 1500 individui, sono oggi radicati soprattutto nell’area di Sangiaccato, nel sud del Paese.
Il Presidente dello Centro Kosovaro per gli studi sulla sicurezza, Prof. Florian Qehaja, ha sottolineato che nel caso del Kosovo, a differenza di quanto accaduto in Bosnia-Erzegovina, i Mujahiddin non erano presenti durante la guerra, dal momento che l’Esercito di liberazione del Kosovo basò la sua lotta per l’indipendenza sul nazionalismo secolare e non sull’identità religiosa, come invece avvenne in Bosnia. Gli attori del mondo islamico (in primis Arabia Saudita e Egitto) hanno sfruttato la situazione devastante che ha segnato quegli anni; la negligenza dei Governi nei confronti delle aree isolate poi, ha consentito di far assumere alle Organizzazioni islamiche ruoli che spettano allo Stato: educazione, costruzione delle infrastrutture, assistenza sociale.
Il Prof. Sead Turčalo (Facoltà di Scienze Politiche, Università di Sarajevo) ha ribadito che sussistono dei pushing factors della radicalizzazione comuni ai vari paesi balcanici: alti tassi di disoccupazione, povertà, scarsa istruzione, esclusione sociale, discriminazione etnico-religiosa e mancanza di fiducia nelle istituzioni statali. Il Prof. Dragan Simeunović ha poi sostenuto che le comunità estremiste sfruttano queste situazioni per creare una rete di drug trafficing che è una delle maggiori fonti di finanziamento.
Secondo tutti i relatori, nei Balcani non sono attesi attacchi terroristici; essi sono, invece, la base logistica dei gruppi estremisti (Al Qaeda e ISIS) e una delle travel-routs per raggiungere o tornare dalle aree di conflitto. Il numero di returnees, sospettati di aver preso parte nelle battaglie in Medio Oriente è di 40 in Albania, 130 in Kosovo e 10 in Macedonia e Serbia.
Il Prof. Sead Turčalo si è particolarmente soffermato sul problema delle overlapping authorities nel paese e sulla mancanza di risorse umane necessarie per il monitoraggio degli individui at risk. Il Prof. Florian Qehaja, invece, ha sottolineato la necessità di una cooperazione a livello più alto (facendo riferimento alla mancata ammissione del Kosovo all’Interpol e alla “fragile” piattaforma di information-sharing fra i paesi balcanici) e alla liberalizzazione del regime dei visti per Kosovo come una potenziale strategia di contrasto all’estremismo.
Il Gen. Giuseppe Governale, Comandante ROS Carabinieri, ha affermato che l’Italia è sempre più esposta alla minaccia jihadista proveniente dai Balcani, facendo riferimento alle attività di reclutamento nel Nord Italia condotte da parte dell’imam bosniaco, Bilal Bosić, condannato nel 2015 a sette anni in prigione. Il comandante del KFOR, Gen. Giovanni Fungo, ha riportato il ruolo che il KFOR ha avuto nel creare un’ambiente sicuro e il libero movimento delle persone (dato l’alto numero degli sfollati). Attualmente, la missione KFOR fa il monitoraggio dei potenziali foreign fighters.
Il lento processo di sviluppo economico e lo scarso intervento delle istituzioni statali hanno reso questo giovane paese il safe harbour e la base logistica dell’estremismo. Parlando del pericolo relativo alla radicalizzazione nei carceri, ha sottolineato che – su un totale di 127 individui arrestati nel Paese, 50 saranno rilasciati nel corso del secondo semestre del 2017.
L’On. Andrea Manciulli, Presidente della Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della NATO, ha chiuso la conferenza, osservando che l’Italia deve acquisire un ruolo di supporto fondamentale affinché i Paesi balcanici affrontino questo fenomeno secondo gli standard dell’UE e della NATO, e ribadendo che è interesse italiano dare priorità al processo ed allo sviluppo della regione. E’ uno scontro con caratteristiche multiple: lotta agli aspetti criminali del fenomeno, confronti comunicativi e culturali. Le sole misure repressive potrebbero comportare un’ulteriore marginalizzazione e alienazione degli individui vulnerabili alla radicalizzazione.
Nina Kecojević
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suggerisco in merito lettura di
LA TORRE DEI CRANI E.R. 2007
MADRASSE – PICCOLI MARTIRI CRESCONO TRA BALCANI ED EUROPA E.R. 2009
CALIFFATO D’EUROPA edito IRIS 4 EDIZIONI 2016
DI ANTONIO EVANGELISTA