Gli Stati Uniti, durante la presidenza Obama, hanno venduto all’Arabia Saudita armi per 110 miliardi di dollari. Tra i pochi che si sono opposti a questa politica figura il senatore Chris Murphy. Democratico del Connecticut e critico della guerra in Yemen ha condotto una battaglia in Senato, il mese scorso, per bloccare la vendita di armi del valore di 1.15 miliardi dollari all’Arabia Saudita. Murphy ha dichiarato che la Casa Bianca dovrebbe usare la sua influenza sui sauditi, per frenare una campagna che è stata ampiamente condannata come sconsiderata, utilizzando la minaccia di revocare questo sostegno.
Chris Murphy, membro del Senato degli Stati Uniti, nella sottocommissione per le Relazioni Estere per il Medio Oriente, Asia del Sud, Asia centrale e dell’antiterrorismo, il 9 ottobre scorso, dopo che la Casa Bianca aveva annunciato una “revisione immediata” del sostegno degli Stati Uniti alla campagna militare guidata dall’Arabia Saudita in Yemen, ha rilasciato la seguente dichiarazione.
“Gli attacchi aerei sauditi, con il sostegno degli Stati Uniti, hanno ucciso migliaia di civili nello Yemen. L’attacco di ieri durante una cerimonia funebre segue mesi di attacchi a scuole, case e ospedali. “So che l’amministrazione è altrettanto inorridita, come lo sono io, per la scarsa considerazione dei sauditi per la vita dei civili, ma siamo ormai oltre il punto di dichiarazioni energiche”, ha detto Murphy. “Se gli Stati Uniti sono seri quando dicono che il nostro sostegno per l’Arabia Saudita non è un assegno in bianco, allora è il momento di dimostrarlo – Perché è evidente che la coalizione guidata dai sauditi “non sente”. L’amministrazione deve ritirare il sostegno alla guerra dell’Arabia Saudita in Yemen perché ciò sta danneggiando anche la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, consentendo a gruppi terroristici di prosperare e di uccidere civili innocenti.“
Nel mese di settembre, Murphy si era unito a Rand Paul (R-Ky.), Al Franken (D-Minn.), e a Mike Lee (R-Utah) per introdurre una risoluzione comune di disapprovazione, (SJRes 39), al fine di bloccare la vendita, pari a 1.15 miliardi di dollari, di carri armati Abrams e altri maggiori articoli destinati alla difesa del Regno dell’Arabia Saudita. Il Senato USA, nello stesso mese, ha respinto la proposta bipartisan di bloccare la vendita di armi all’Arabia Saudita con 71 voti contro 26.
Secondo le Nazioni Unite, più di 4.000 civili sono stati uccisi in Yemen dall’inizio dei bombardamenti. Il conflitto yemenita è iniziato nel 2014, quando i ribelli sciiti del nord, gli Houthi, hanno conquistato la capitale Sana e mandato il governo in esilio. Controllano gran parte del nord e dell’ovest del Paese, insieme a unità dell’esercito fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh. La coalizione militare internazionale guidata dall’Arabia Saudita ha iniziato una campagna di bombardamenti nel marzo 2015, nel tentativo di restaurare il governo di Abdu Rabbu Mansour Hadi, il presidente in esilio.
Gli Stati Uniti non hanno aderito formalmente alla coalizione guidata dai sauditi, che sono intervenuti a sostegno del deposto governo yemenita, hanno cercato di spingere le fazioni in lotta verso un accordo di pace, ma hanno fornito bombardieri alla coalizione, addestrato piloti sauditi e hanno fornito l’intelligence alla campagna di bombardamenti.
Alcuni giorni fa gli USA sono stati direttamente coinvolti nella guerra in Yemen, in quanto costretti a rispondere al lancio di missili, presumibilmente da parte di ribelli Houthi, contro una nave da guerra americana, distruggendo le strutture radar dei ribelli.
L’attacco americano è arrivato dopo due attacchi missilistici falliti al cacciatorpediniere Mason, in quattro giorni. Il Pentagono, qualche giorno fa, ha dichiarato che l’attacco è stato portato con il solo scopo di proteggere le forze americane, oltre a altre imbarcazioni, nello stretto di Bab el Mandeb che separa lo Yemen da Eritrea e Gibuti. Gli Stati Uniti hanno anche mantenuto navi da guerra nella regione a protezione del tratto di mare attraverso cui passano quattro milioni di barili di petrolio ogni giorno. Il portavoce del Pentagono, Peter Cook, ha riferito che ad altri attacchi non potrebbero che seguire ulteriori ritorsioni. Navi da guerra americane e alleate continueranno a pattugliare lo stretto, ha detto, ma “noi non cerchiamo un ruolo più ampio nel conflitto.”
Dopo gli attacchi americani, l‘Iran ha riferito dell’invio di due navi da guerra nello stretto, presumibilmente per sostenere gli Houthi, un gruppo indigeno sciita con collegamenti con l’Iran. L’Arabia Saudita ha ritratto gli Houthi come una forza che opera per procura iraniana, giustificando la sua campagna militare in Yemen necessaria per proteggere la sua sicurezza nazionale, impedendo il sorgere di una milizia bellicosa sul suo confine meridionale.
Il New York Times riporta che un anno e mezzo di bombardamenti – insieme con la morte di migliaia di civili yemeniti – hanno alimentato la rabbia nello Yemen non solo verso i sauditi, ma anche nei confronti dei loro (percepiti) protettori di Washington. Gli attacchi di questa settimana sull’USS Mason e la risposta del Pentagono mostrano quanto rapidamente gli Stati Uniti possano passare da una posizione di supporto a quella di partecipante attivo in una guerra civile caotica.
Michael Knights, ricercatore presso il Washington Institute for Near East Policy che studia lo Yemen, ha detto che la maggior parte delle armi usate dall’alleanza Houthi-Saleh erano “legacy matériel“, nel senso che erano nel paese prima che iniziasse il conflitto. Lo Yemen per lungo tempo è stato inondato di armi, e gran parte delle armi dei ribelli provengono dall’esercito yemenita. Nel corso del conflitto ci sono state molte prove del sostegno militare iraniano.
Lungo il confine Yemen-Arabia, i ribelli hanno iniziato a utilizzare missili anticarro, lanciarazzi spalleggiabili e fucili da cecchino dello stesso tipo utilizzato dalle milizie iraniane in Iraq e in Libano.
Il perdente nella guerra è naturalmente il popolo yemenita. Più della metà dei venticinque milioni di abitanti sono malnutriti e secondo Brookings, sui media americani di questa guerra non se ne parla quasi.
Elvio Rotondo
Country Analyst
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Complimenti per l’analisi, efficace e particolareggiata. Il rpoblema della politica internazionale Americana, a detta di molti è nell’inefficacia e incapacità del Presidente U.S.A… Inoltre la completa mancanza di una linea unitaria di politica estera europea fa si che non c’è nessuno in grado di “allineare” gli U.S.A. se non quella antagonista portata avanti da Putin. Forse stiamo rischiando un po troppo?