Dopo tredici anni l’AKP è nuovamente al potere. Con tutto il rispetto per le preferenze degli elettori e della loro volontà, mi congratulo personalmente per il suo successo. Il 1° novembre le elezioni in Turchia hanno fatto emergere non tanto le questioni inerenti al potere quanto piuttosto quelle riguardanti l’opposizione. L’elettorato ha mostrato il cartellino rosso all’opposizione.
L’elettorato che il 7 giugno voleva la coalizione e il negoziato, il 1° novembre ha penalizzato l’opposizione che non ha saputo concretizzarla. I turchi hanno pensato di mettere sulla bilancia tutte le crisi che negli ultimi cinque mesi hanno attraversato il Paese: dal terrorismo alla sicurezza, dalla politica estera all’economia. Pertanto hanno voluto voltare pagina rispetto ad una serie di eventi negativi che evocavano gli anni ’90.
I turchi sono alla ricerca di gestione del potere, sicurezza e prosperità. D’altra parte in Turchia, sia in politica che in burocrazia, prevale il principio della responsabilità e non esiste una cultura delle dimissioni. Per quanto i partiti dell’opposizione non sfuggiranno ai loro meccanismi interni di autoregolazione.
L’elettorato di un AKP risentito che, insieme ai nazionalisti turchi o curdi, non è andato alle urne il 7 giugno, il 1° novembre è rientrato ancora una volta nei ranghi dell’AKP. Anche il MHP (Partito del Movimento Nazionalista), come attore politico, è slittato per un terzo influentemente verso l’AKP. Mentre il CHP, radicato sulle coste, ha perso il Mediterraneo orientale. E perdendo la supremazia sull’Egeo e sulla Tracia, ha perso anche la totalità delle metropoli al di fuori di Izmir, (İstanbul, Ankara, Bursa, İzmit, Antalya, Gaziantep, Adana, Kayseri, Konya). Quanto al HDP, la sua mancata differenziazione dal PKK lo ha sciolto. E il suo insuccesso ha rafforzato sia i curdi di Qandil (regione curda della Siria) che un Abdullah Öcalan rimasto nell’ombra dello stesso partito.
Ma come ha fatto l’AKP a rigenerarsi? Questo perché l’AKP nonostante una serie di fatti, quali: l’auto-logoramento, l’usura del potere, il precipitare degli eventi di un partito al governo che ha condotto a elezioni generali anticipate, il declino radicale dello stesso partito che ha arrestato la crisi economica, l’incapacità di dire qualcosa di nuovo, l’allontanamento e la delusione dei suoi quadri, la caduta del gradimento nazionale, la perdita delle tre principali componenti elettorali che salvaguardavano il suo legame con il mondo esterno (i liberali, i conservatori democratici e le organizzazioni parastatali, ovvero i seguaci di Fethullah Gülen). Nonostante tutto questo, perché l’AKP non si è sciolto? L’ho scritto molte volte ma lo ripeterò ancora.
A partire dalle elezioni generali del 2011 in Turchia il contesto politico e sociale è tornato alla politica identitaria emersa dalla struttura di classe determinata dalle elezioni generali anticipate del novembre 2002 e del febbraio 1997, dal terremoto di Marmara del 1999 e dalla crisi economica del 2001. Tuttavia l’AKP si è confrontato con i fatti di Gezi Park del maggio-agosto 2013 e con le operazioni del 17-25 dicembre dello stesso anno. Due eventi che sono stati considerati come un attacco contro la base conservatrice sunnita. Traendone terreno politico, l’AKP si è rafforzato, tornando alla sua base conservatrice sunnita. L’onda lunga dei conservatori sunniti è molto energica e continua a rifrangersi nell’AKP. I quattro partiti che sedevano in parlamento erano partiti identitari. In Turchia si è iniziato a votare con riferimento all’appartenenza religiosa, etnica, e di stile di vita (tradizionalista o altro).
A causa di una maggiore polarizzazione politica e sociale, tra i partiti è progressivamente diminuita la permeabilità dei voti. Nonostante l’insuccesso dei partiti, a causa di questa polarizzazione delle identità, la mancata trasformazione dell’elettorato ha iniziato a causare la decadenza dei partiti esistenti. È venuta a mancare la competizione politica interna e reciproca fra i partiti.
Erdoğan è stato il Presidente che ha convinto l’AKP ancora dopo il 7 giugno, ad andare alle elezioni. Perciò dal 1° novembre la politica turca è psicologicamente nelle sue mani. Tuttavia, un’incognita è data dal ruolo di Davutoğlu in questo secondo successo del 1° novembre. L’AKP non è stato in grado di possedere la forza per cambiare da solo la costituzione onde passare al sistema presidenziale, ma possedeva una forte volontà politica per il referendum. Certo è che nella primavera del 2016, per quanto riguarda il sistema presidenziale, il referendum non sarà una sorpresa.
Hasan Kanbolat
traduzione dal turco a cura di Ermanno Visintainer
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Hasan Kanbolat è una figura di spicco del mondo politico ed intellettuale turco. Accreditato presso varie istituzioni accademiche, think tank, nonché editorialista del quotidiano, Today’s Zaman. È stato Presidente e fondatore di ORSAM (Centro Studi Strategici sul Medio Oriente) il più prestigioso think tank turco, dal 2008 al 2014. Recentemente ne ha fondato un altro, l’“Ankara Politikalar Merkezi” (APM o Centro Politiche di Ankara). Hasan Kanbolat è consulente su questioni concernenti la formulazione della politica estera turca e analisi della diaspora circassa sulle relazioni fra Turchia e regione del Caucaso.