Già prima delle elezioni generali c’erano stati degli attentati dinamitardi contro l’entourage del HDP, il Partito Democratico del Popolo (cioè il neo-partito filo-curdo, l’Halkların Demokratik Partisi): il 5 Giugno a Diyarbakır, il 20 luglio a Suruç e ora il 10 ottobre ad Ankara.
La sera del 10 ottobre, ad Ankara, era calato un silenzio spettrale. Per le strade le chiazze di sangue erano intrise di polvere da sparo. Ankara è da sempre stata testimone, in lontananza, di atti di terrore e crisi economiche così come di grandi movimenti sociali.
Mai come questa volta un attentato dinamitardo, il più devastante nella storia della Turchia, aveva sconvolto tanto profondamente la sua calma, serena e scandita routine quotidiana. Già nel 1923 Ankara, inclusa fra le capitali centroeuropee, era venuta a confrontarsi con la realtà della vita politica e sociale di una Turchia mediorientalizzata. Ma nonostante l’irachizzazione che sta vivendo la capitale, non è stata registrata nessuna dimissione, nessun’autocritica, e nemmeno nessun rimpasto del personale politico e burocratico. Al di là dei loro privilegi legalmente garantiti, a che servono 657 funzionari statali della sicurezza e dell’intelligence turche, una realtà senza uguali al mondo, se sono incapaci di garantire la sicurezza nel centro di Ankara? Difficile da comprendere.
In Turchia, la strage di Ankara è stata oggetto di commenti da parte di sensibilità politiche molto variegate. Una parte dei conservatori ritiene che sia stata organizzata dal PKK; mentre parte del HDP, dei liberali e della sinistra, ritengono che sia stata messa in atto da forze che vogliono estromettere il HDP dallo sbarramento elettorale. Sta di fatto che l’obiettivo degli attentatori kamikaze è stato lo stesso di quello degli attentati di Diyarbakır e Suruç.
Infatti, è stato preso di mira il meeting cui avevano partecipato movimenti politici curdi e turchi della sinistra che chiedevano di porre fine al conflitto in corso fra la popolazione prevalentemente curda delle province orientali e sud-orientali della Turchia e il PKK. Anche l’11 ottobre, Piazza Sıhhiye era gremita dalle anime della sinistra del HDP e del CHP (il Partito Popolare Repubblicano), dell’EMEP (il Partito del Lavoro), dei curdi e delle ONG, presenti al meeting di Ankara il 10 settembre.
Mentre, nella storia della Turchia, una parte dei partiti della sinistra, del TİP (Partito dei Lavoratori), del SHP (Partito Social-democratico) e del CHP era costituita dal movimento politico curdo, oggi per converso, la sinistra turca è divenuta una parte della struttura politica curda (HDP). Una situazione, questa che, se da una parte argina l’espansione della sinistra, dall’altra la invita a gettare uno sguardo analitico sulla Turchia e sul mondo, attraverso la lente dei curdi.
Ora, il settanta per cento dei turchi è rappresentato da una maggioranza silente che l’11 settembre, non era scesa in piazza. Una dimostrazione del fatto che la strage di Ankara non farà altro che acuire ulteriormente la polarizzazione e la violenza in Turchia, danneggiando il già fragile clima di dialogo politico, esacerbando quello di crisi economica e politica.
La strage di Ankara influenzerà le elezioni del 1° novembre?
Già durante le elezioni generali del 7 giugno ci si era chiesto se il HDP avrebbe superato la soglia dello sbarramento elettorale. Per le elezioni anticipate del 1° novembre invece ci si chiede se il partito AKP di Erdoğan, con i suoi 276 seggi, potrà governare da solo o no.
L’attacco di Ankara potrebbe conseguire sia un incremento dei voti dell’AKP, sia di quelli del HDP. Del resto, il presentimento dell’indebolimento di Erdoğan che, condurrebbe sia ad una crisi economica che della sicurezza, si è già radicato nei conservatori. Ed anche nel caso in cui la strage di Ankara avesse spianato all’AKP la strada per governare da solo, la base elettorale degli aleviti del CHP, della sinistra e della gioventù continuerebbe a scivolare verso il HDP.
L’attacco di Ankara potrebbe accelerare questo slittamento. Lo spostamento degli aleviti, i quali costituiscono la spina dorsale del CHP di Kılıçdaroğlu verso il HDP significherebbe una frattura irreparabile. Pertanto, il 1° novembre costituirà un banco di prova per capire se gli aleviti passeranno dal CHP al HDP oppure se gli schieramenti rimarranno tali.
Tuttavia qualora anche il HDP, il 1° novembre, non ti trovasse dinanzi al problema dello sbarramento, le elezioni anticipate costituirebbero un nuovo punto di svolta per il movimento politico curdo. Il 1° novembre inizierà a farsi chiaro se il HDP, prendendo le distanze da Qandil (regione curda della Siria) e da Imralı (Carcere dove si trova Abdullah Ocalan, leader storico del PKK) troverà una propria personalità.
Selahattin Demirtaş, i cui indici di gradimento sono in continua ascesa, è un giovane sostenuto dal popolo, brillante ed esperto di politica, dove si è gettato per ragioni legittime. Altra questione è quanto Abdullah Ocalan, navigato e ormai da tempo distaccato dal mondo, gli permetterà di fargli ombra. Per questa ragione, il periodo del 1° novembre potrebbe anche sortire qualche escamotage finalizzato a prevenire l’ascesa imprevista di Demirtaş. Affinché, il 1° novembre, il HDP venga a trovarsi sotto la soglia di sbarramento è necessario che, sia i conservatori curdi sia quelli dell’ovest del Paese rientrino nell’AKP. Tuttavia, un tale scenario non sembra verosimile. Mentre cala la possibilità di un’influenza reciproca fra identità curda ed islamica.
Questa tendenza allo slittamento della base elettorale dei curdi sunniti dell’AKP verso il HDP è percepita come un “tradimento dei curdi” ed incrementa un sentimento anti-curdo. Quindi, questa nuova situazione costituisce una delle ragioni dell’escalation degli attacchi contro i curdi in Anatolia. Peraltro, se dopo il 1° novembre, aumenteranno gli attacchi contro i curdi dell’Anatolia occidentale, i quali non torneranno ad est. Bensì saranno costretti a lasciare i loro piccoli insediamenti in Anatolia occidentale dando origine a una nuova corrente di flussi migratori verso le grandi città (Istanbul, Ankara, Izmir, Izmit, Bursa, Adana, Mersin, Gaziantep…). La migrazione dei curdi verso le grandi città dell’Anatolia occidentale, è una nuova situazione che la Turchia non ha mai affrontato. Questo nuovo status porterà a conseguenze politiche, sociologiche e psicologiche.
Tuttavia, viene da chiedersi che tipo di pace desideri il HDP. Non certo una pace che interferisca con l’egemonia politica ed economica del PKK nelle zone orientali e sud-est del Paese. A meno che pace non significhi chiudere un occhio dinanzi alla fondazione di un’amministrazione cantonale del PKK nel nord della Siria.
Ora, il HDP si lamenta della fuga dei curdi verso ovest, quando il PKK è stato l’artefice della completa omogeneizzazione etnica dell’Anatolia orientale e sud-orientale. Fino agli anni ’80, i centri urbani dell’est (Van, Batman, ecc. ) erano turchi, nel sud-est, turchi, arabi, siriaci (Siirt e Cizre, Şırnak, Urfa, Mardin, Gaziantep …), i villaggi, invece rimanevano prevalentemente curdi. Da questo periodo in poi tale compagine è cambiata radicalmente. Turchi e arabi sono migrati ad ovest mentre i curdi si sono spostati dai villaggi verso i centri urbani. Il PKK, passo dopo passo, dagli anni ‘80 in poi, ha attuato un’omogeneizzazione etnica dell’Anatolia orientale e sud-orientale. In primo luogo, ha garantito la migrazione verso ovest di tutti i cittadini che non fossero di origine curda e zaza (un’etnia curda anatolica). In secondo luogo, ha trasformato l’identità zaza che è parte dell’identità curda in una popolazione separata dai curdi, imponendolo ad Ankara. In terzo luogo, ha cominciato ad assicurarsi l’alleanza di tribù e leader vicini allo stato fin dai tempi dell’Impero Ottomano.
1° novembre: dai problemi sociologici a quelli psicologici?
In Turchia hanno cominciato ad essere diffuse non tanto le motivazioni sociologiche quanto quelle psicologiche. È possibile che dal 1° novembre escano dei risultati non prognosticati dai sondaggi e dalle proiezioni elettorali?
Il partito di governo è un partito logorato. Ed i voti di un partito al potere che va ad elezioni anticipate non potranno che essere in caduta. Si tratterebbe del collasso drastico dei voti di un partito di governo che ha bloccato la crisi economica. L’AKP al governo è sfiancato.
Non c’è nulla di nuovo da dire. Perfino il suo stesso staff ne è nauseato, alienato. Mentre l’opinione pubblica nazionale è in una fase d’impasse. Ha di fatto perso le tre principali componenti elettorali che salvaguardavano il suo legame con il mondo esterno (i liberali, i conservatori democratici e le organizzazioni parastatali, ovvero i seguaci di Fethullah Gülen). Per quanto, nonostante quest’immagine negativa, l’AKP non arriverà allo scioglimento.
In primo luogo, perché le cause psicologiche in Turchia sono ancora in fase di elaborazione. In secondo luogo, in quanto a partire dalle elezioni generali del 2011, in Turchia, l’atmosfera politica e sociale è ritornata ad una politica identitaria scaturita dalla struttura di classe.
L’AKP si è confrontato con i fatti di Gezi Park, del maggio-agosto 2013, e con le operazioni del 17-25 dicembre 2013. Entrambi i casi sono stati percepiti come attacchi contro la base conservatrice sunnita. Trascinato a livello politico, si è rafforzato ulteriormente ritornando alla sua base conservatrice sunnita. Del resto, l’AKP non è solo un partito politico, bensì è stato un partito di Stato integratosi con lo stesso. In Turchia come nel resto del mondo, l’abdicazione al potere da parte dei partiti di Stato non è né facile né indolore. Che cosa fosse un partito di Stato lo aveva sperimentato già con il CHP, al tempo del monopartitismo (1923-1950). Il DP (Partito democratico) fu fondato nel 1946 propri per porre fine all’oppressione statale ed ai privilegi.
In Turchia accanto ai quattro partiti che prendono posto in parlamento c’era il partito dell’identità. Sempre in Turchia, il voto viene dato in relazione a religione, etnia e stile di vita tradizionalista o meno. I partiti politici, le organizzazioni della società civile e pure le famiglie acuiscono la polarizzazione. Come in Iraq e in Siria anche in Turchia è iniziato un processo di assimilazione degli elementi individuali legati a religione, confessione, etnia o stile di vita. A causa di una maggiore polarizzazione politica e sociale tra i partiti è progressivamente in diminuzione la permeabilità dei voti. Permeabilità che si stabilisce fra AKP-MHP (Partito del Movimento Nazionalista), CHP-HDP e CHP-MHP. Nonostante il fallimento dei partiti per via della polarizzazione dell’identità, il mancato ricambio interpartitico dell’elettorato provoca la degenerazione di quelli esistenti. In pratica viene a crearsi una mancanza di competizione politica tra partiti al loro interno.
In Turchia l’identità comune, in continua disgregazione, ha ricevuto ad Ankara, il 10 ottobre, un ulteriore colpo. La tensione crescente su economia, politica, religione, etnia e stile di vita aumenta in tutte le forme e direzioni. C’è un accumulo di rabbia e di paura.
Quando sarà immessa in circolo questa psicologia sociale? Quando questa tensione porterà ad una esplosione e in che modo? E quest’esplosione, quali settori della società danneggerà? A seguito dell’esplosione ci sarà un nuovo partito democratico conservatore? Oppure la maggior forza politica al di fuori dei quattro partiti politici in parlamento, lo sarà un quinto attore (le forze armate turche), che già dopo Suruç (l’attentato) hanno iniziato a porre in evidenza il proprio potere?
Le regole della convivenza per la ricostruzione dell’identità comune verranno riviste o alcune identità vorranno essere eliminate. Se la Turchia continuerà la sua marcia verso la democrazia, dovrà dare spazio alle diverse identità in campo economico, politico, pubblico e sociale.
Hasan Kanbolat
Hasan Kanbolat è una figura di spicco del mondo politico ed intellettuale turco. Accreditato presso varie istituzioni accademiche, think tank, nonché editorialista del quotidiano, Today’s Zaman. È stato Presidente e fondatore di ORSAM (Centro Studi Strategici sul Medio Oriente) il più prestigioso think tank turco, dal 2008 al 2014. Recentemente ne ha fondato un altro, l’“Ankara Politikalar Merkezi” (APM o Centro Politiche di Ankara). Hasan Kanbolat è consulente su questioni concernenti la formulazione della politica estera turca e analisi della diaspora circassa sulle relazioni fra Turchia e regione del Caucaso.