Dall’Afghanistan al Medioriente nel segno dell’indecisionismo
La strategia di Washington in Siria ed Iraq si è ormai rivelata un completo fallimento. Infatti in entrambi i Paesi – che rappresentano la zona cruciale di tutto il Medio Oriente, o più esattamente il pivot geopolitico della regione – le milizie dello Stato Islamico avanzano nonostante i bombardamenti della coalizione guidata dagli USA e le eliminazioni mirate di esponenti di spicco del movimento jihadista.
Azioni che tutti gli analisti statunitensi considerano assolutamente insufficienti per risolvere in via definitiva il problema del novello Califfato, i cui tentacoli, nel frattempo, si vanno estendendo nel Maghreb e nell’Africa sub-sahariana da un lato, nella stessa penisola arabica e in Afghanistan dall’altro.
È dunque evidente la necessità di ricorrere al dispiegamento di forze statunitensi in Iraq, e al diretto intervento contro le milizie dell’IS; intervento che costringerebbe i jihadisti a serrare i ranghi per difendere i territori conquistati, in particolare Ramadi e Mosul. Concentramento di forze che renderebbe le milizie dell’IS più vulnerabili agli attacchi aerei e ne favorirebbe la disgregazione. Infatti senza questa necessità di difendere il territorio, le truppe dell’IS potranno continuare all’infinito nella strategia elastica dì disperdersi per vanificare i raid statunitensi e poi, di colpo, concentrarsi e convergere su un nuovo obiettivo.
“Boots on the ground” dunque; tuttavia è una strategia che contrasta violentemente con la politica di Obama, che del ritiro delle truppe dall’Iraq ha fatto la vera e propria bandiera della sua Amministrazione, per marcare la differenza dall’era Bush. Dando quindi per scontato che ben difficilmente Obama potrà, in quest’ultimo scorcio di mandato, rovesciare la politica che ha connotato tutta la sua Presidenza, resta un’unica alternativa. Anch’essa però ben poco praticabile, visto che implicherebbe dare man forte alle milizie sciite in Iraq e alle forze fedeli ad Assad, appoggiate da Hezbollah, in Siria. Cosa che non solo porterebbe il clima dei rapporti con Israele, già alquanto freddo, al gelo artico, ma soprattutto susciterebbe la reazione preoccupata dei sauditi, che ben più dell’avanzata dell’IS temono il rafforzarsi del potere dell’eterno nemico iraniano. Che sta dietro, con consiglieri e forze speciali, tanto agli sciiti irakeni quanto alle truppe di Assad. Dunque Obama – che mai è stato un decisionista – non deciderà, lasciando la patata bollente al suo successore. Che, ovviamente, si troverà costretto ad una radicale inversione politica. Sempre che non sia troppo tardi.
Andrea Marcigliano
Senior fellow
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