A margine dell’attentato di Tunisi, riteniamo utile, fors’anche necessario, precisare alcune cose, anche perché, in queste ore, abbiamo sentito affermare un po’ tutto e il contrario di tutto. E questo non aiuta a comprendere la realtà; e la comprensione, la conoscenza sono le prime armi da usare contro la minaccia terroristica.
1. È stato più volte detto, da vari pulpiti, che il massacro dei turisti nel Museo rappresenta un attacco mosso contro l’Occidente. Ci si dimentica, però, che il gruppo di fuoco jihadista aveva attaccato, in prima istanza, il Parlamento, dove si stava per porre in discussione una legge utile a contrastare la proliferazione dei gruppi filo-jihadisti nel Paese. Legge la cui discussione, per altro, veniva rimandata da mesi, proprio per il timore che potesse suscitare reazioni violente dagli estremisti islamici. Che in Tunisia hanno le loro basi di reclutamento, dove, fino ad oggi quasi indisturbati, hanno arruolato numerosi giovani combattenti destinati, poi, ad operare in Libia ed in altri teatri di conflitto. Inoltre non si deve dimenticare che in Tunisia il partito Ennaada, ispirato dai Fratelli Musulmani, assolve a ruoli di governo; e che nella Fratellanza – molto più composita e variegata di quanto comunemente si creda – vi sono frange che occhieggiano con una certa simpatia al jihadismo.
2. L’attacco ai turisti, quindi, è stato un obiettivo occasionale e di risulta, non programmato. Che poi questo possa avere ricadute pesanti sul turismo, e quindi sull’economia del paese è conseguenza certa. Ma non era questo l’obiettivo dei terroristi.
3. Gli autori del massacro sembra appartenessero ad Ansar al-Sharia in Tunisia. Si tratta di una sigla del jihadismo molto diffusa ed utilizzata in tutto il Maghreb ed in altri paesi arabi; una sigla – “Partigiani della Legge” – che, però non implica un vero collegamento tra i gruppi, né tantomeno un comando comune. Ora Ansar al-Sharia in Libia ha, recentemente, dichiarato la sua affiliazione al Califfato, ovvero all’IS, in verità più una sorta di riconoscimento “feudale” che un vero legame di comando. Tuttavia non è affatto certo che il gruppo tunisino, che ha operato l’attentato, abbia anch’esso aderito al Network dello Stato Islamico. Anche perché, sino a poco tempo fa, sembrava vicino ad Al Qaeda nel Maghreb Islamico. E le modalità dell’attentato sembrano corrispondere più a quelle tipiche di AQIM che a quelle proprie dell’IS. Di qui i dubbi sulla rivendicazione da parte del Califfato avanzate dall’intelligence statunitense.
3. In effetti non si deve dare troppo credito – in questo caso, come in altri analoghi, si pensi agli attentati in Yemen – al gioco delle rivendicazioni. Questo perché la partita per il primato nell’Universo jihadista in corso fra la vecchia Al Qaeda guidata da al-Zawairi e l’IS di al-Baghdadi si gioca anche, anzi soprattutto sull’immagine e sul credito che questa può conferire presso le masse islamiche. Per altro fra Al Qaeda ed IS si stende una vasta terra di nessuno popolata da un pulviscolo di gruppi e gruppetti jihadisti, spesso prodotto della struttura tribale delle società arabe, che, di volta in volta, cercano di collegare la loro immagine all’uno o all’altro dei due grandi Network del Terrore.
Andrea Marcigliano
Senior fellow
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