A margine della strage di Parigi. Colpisce come, anche di fronte ad un evento di tale portata, i Media occidentali in generale, e quelli italiani in particolare, esitino a chiamare le cose con il loro nome. Come si continui a definire i terroristi nei più diversi modi, jihadisti, seguaci di Al Qaeda, cani sciolti, pazzi, “brigatisti internazionali” reduci dalla Siria, seguaci del Califfo e chi più ne ha più ne metta… Ma si sia restii ad usare il termine corretto per definire la loro matrice ideologica, che è quella islamica. Con questo, certo, non vogliamo demonizzare né la religione, né la culture, o meglio le culture islamiche, che presentano un’enorme ricchezza spirituale e una grande varietà di tradizioni alte e nobili. Riteniamo, però, necessario sottolineare come, purtroppo, anche questo, oggi, sia Islam, o parte di esso. E ne rappresenti, soprattutto, non solo il volto più minaccioso, ma anche quello più moderno. Infatti la matrice di questi terroristi affonda le sue radici nel dettato delle madrase wahabite e salafite; scuole recenti entrambe, che risalgono la prima alla seconda metà del XVIII secolo, la seconda agli inizi del ‘900. E che sono connotate da una forte spinta ideologica, dall’odio per l’Occidente, dal formalismo giuridico e da un pressoché totale disinteresse per le questioni spirituali e per la stessa tradizione escatologica islamica.
Dunque un Islam ridotto ad ideologia, a messaggio politico estremamente semplificato e conflittuale, ma proprio per questo estremamente attraente non solo per le masse islamiche, ma anche, forse soprattutto, per i figli di un Occidente allo sbando culturale, sempre più impaniato in un astruso “politically correct” figlio del vecchio e frusto radicalismo intellettualistico. Ubbie intellettuali che impediscono di chiamare, e quindi di riconoscere per quello che è l’IS, il regno del Califfo al-Baghdadi: uno Stato con un suo territorio, una captale, un governo, un’amministrazione, un esercito, una bandiera, un inno… Uno Stato “canaglia”, come spesso viene definito, che promuove guerre e minacce terroristiche… e tuttavia si continua, per lo più a glissare sul fatto che il fondamento di questo stato, il suo collante, sia l’Islam. O meglio la versione radicale, di impronta wahabita e salafita, del moderno islamismo, che ha preteso di leggere nel modo più letterale e restrittivo la Sharia, declassandola da comandamenti morali – quando erano nella tradizione – e da fonte di ispirazione del diritto – come, nel passato, in tutti i diversi regimi islamici – a Legge tout court, un letto di Procuste in cui rinchiudere uomini e popoli. È comprensibile che le maggiori autorità religiose dell’Islam sunnita – gli sciiti essendo i primi obiettivi dell’odio del Califfo e dei sui seguaci – cerchino di affermare che l’IS non è islamico, come ha fatto, nell’Agosto scorso, l’Università cairota di Al Azhar. Tuttavia ci pare meno comprensibile la timidezza con cui in Occidente ci si ostina a non voler riconoscere né a chiamare per nome una tabe che ci sta minando dall’interno. Come dimostra il raid contro “Charlie Hebdo”, compiuto da due francesi di origine algerina, cittadini europei di seconda generazione, già implicati nelle reti dell’islamismo radicale francese e reduci dalla guerra in Siria. Dove avevano combattuto, ed erano stati evidentemente ben addestrati, nelle fila di quella “brigata internazionale islamica” di cui sembra facciano parte oltre tremila cittadini europei.
Andrea Marcigliano
Senior Fellow de “Il Nodo di Gordio”