Dal 16 settembre scorso, la cittadina siriana a maggioranza curda di Kobanê, al confine con la Turchia, è oggetto di un assedio delle milizie dell’ISIS a cui si sta opponendo la forza armata curda del PYD (Partiya Yekîtiya Demokrat – Partito d’unione democratica), l’YPG (Yekîneyên Parastina Gel – Unità di protezione del popolo). Dall’inizio delle ostilità, la popolazione curda di Turchia si è riversata nelle strade per chiedere al Presidente Erdoğan di permettere il passaggio di aiuti e combattenti curdi verso Kobanê. A discapito di tali richieste, l’unica concessione della Turchia è stata la creazione di un corridoio di passaggio per permettere alle truppe Peshmerga irachene di raggiungere Kobanê nel nord della Siria attraverso la frontiera di Ibrahim Khalil, nei pressi di Zakho, proseguendo per le città turche di Mardin e Şanlıurfa.
Ad una prima analisi, le decisioni di Ankara potrebbero apparire in contraddizione con la precedente impostazione di Erdoğan a favore di un possibile intervento. Il Presidente turco in passato – era ancora Primo Ministro – aveva dichiarato che le forze di Ankara erano pronte ad invadere il territorio siriano di confine con la Turchia nel caso in cui fosse stata messa in pericolo la sicurezza del mausoleo di Suleyman Shah, nel Governorato di Aleppo, ad appena 30 km da Kobanê.
Il cambio di atteggiamento nella politica estera turca va considerato alla luce di ulteriori variabili altrettanto rilevanti nelle valutazioni politiche di Ankara. Tra queste rientrano sicuramente le complicazioni strategiche legate ad un intervento in un conflitto non polarizzato come quello siriano, nonchè fattori di mera politica interna, riguardanti la questione curda e le complesse dinamiche esistenti tra i partiti curdi presenti nella regione e la stessa Ankara. Alla luce di queste considerazioni, pertanto, risulta utile comprendere chi siano i diversi attori in gioco.
Il PYD, che detiene il controllo di Kobanê, nella regione autonoma di Rojava, è l’ala siriana del PKK (Partîya Karkerén Kurdîstan – Partito dei lavoratori curdi). Sorto nel 2003 per volontà di siriani ex-combattenti del PKK, il PYD abbraccia gli ideali e la filosofia del leader Abdullah Öcalan. Ne consegue che, nonostante le trattative di pace in corso per il raggiungimento di un accordo con il PKK, una latente sfiducia reciproca turco-curda impedisca il dialogo lo stesso PYD e il Governo turco.
Allo stesso tempo, il principale oppositore del PYD interno al fronte curdo è l’ENKS (Encûmena Niştimanî ya Kurdî li Sûriyê – Consiglio nazionale curdo siriano), legato all’attuale partito di Governo del Kurdistan iracheno, il KDP (Partîya Demokrata Kurdistanê – Partito democratico del Kurdistan) di Massoud Barzani, alleato di Erdoğan. I due movimenti siriani, il PYD e l’ENKS, si attestano su posizioni difficilmente conciliabili riguardanti soprattutto la spartizione degli incarichi politici e dei ricchi finanziamenti esteri da essi derivanti.
A livello politico, inoltre, la posizione del PYD risulta orientata verso la ricerca del compromesso e dell’ottenimento di una maggiore autonomia all’interno dell’attuale Governo siriano, mentre l’ENKS ha come scopo principale il rovesciamento del regime di Assad, punto di affinità con Ankara. D’altra parte, la volontà di intrattenere stretti rapporti con il Governo regionale di Barzani, e di conseguenza con l’ENKS siriano, risulta per Erdoğan una scelta obbligata, alla luce degli introiti garantiti dal commercio di idrocarburi tra la Turchia e il Kurdistan iracheno, cui fanno da contraltare varie politiche di controllo del settore dell’approvvigionamento idrico (la Turchia è di fatti lo Stato a monte dei fiumi che scorrono nel territorio iracheno).
Pertanto, l’apertura al passaggio dei Peshmerga iracheni, piuttosto che andare a favore del PYD, sembra rientrare nelle mire strategiche turche. Tale operazione potrebbe a tutti gli effetti rivelarsi una manovra di Ankara per indebolire il peso del PYD nelle aree in questione, e di conseguenza di tutto il fronte favorevole al PKK, con il fine ultimo di portare il governo della regione di Rojava in mano ad un movimento più facilmente controllabile come l’ENKS. Ciò è confermato anche dal fatto che le forze armate del PYD, nonostante la durezza della battaglia, abbiano accettato di ricevere un numero ristretto di truppe Peshmerga.
Proprio il settore dell’approvvigionamento idrico, che lega Ankara ad Erbil, risulta essere intimamente connesso ad una delle maggiori iniziative turche tese al controllo delle regioni della Turchia abitate dai curdi e ai tentativi di divisione dei movimenti indipendentisti dei Turchi della Montagna: il progetto GAP (Güneydoğu Anadolu Projesi) per lo sviluppo del sud-est anatolico. Nelle province turche interessate, dal 1989 viene portato avanti un piano per la creazione di 22 dighe e 19 impianti idro-elettrici tramite lo sfruttamento dei fiumi Tigri ed Eufrate. Una volta ultimato, il progetto apporterà allo Stato un quantitativo energetico pari a 27.345 gigawatt/ora l’anno. Il completamento si trova attualmente a circa l’85% del totale, le dighe con impianti idro-elettrici già funzionanti sono otto, quelle attualmente in costruzione tre. Tramite il GAP, Ankara punta ad un duplice vantaggio derivante in primis dallo sviluppo generale della regione, connesso alla creazione delle infrastrutture e della creazione di energia elettrica, e in seconda istanza dalla maggiore presenza dell’apparato statale in una zona da sempre fucina di aspirazioni indipendentiste.
A complicare ulteriormente i rapporti tra la Turchia e i curdi di qualsiasi bandiera ci sono, tuttavia, le accuse rivolte da vari leader dei movimenti separatisti curdi, secondo i quali Ankara sarebbe impegnata in una sorta di doppio gioco che coinvolge anche possibili accordi con i movimenti salafiti presenti in Siria, come l’ISIS (Islamic State of Iraq and al-Sham). A riprova di tali accuse, viene da questi sottolineato il fatto che dal giugno scorso il movimento jihadista controlli alcuni snodi strategici tra Iraq e Siria, comprese la diga di Mosul e la diga di al-Raqqa, e che a monte dei fiumi Tigri ed Eufrate si trova, come già detto, l’amministrazione turca, che può dunque controllarne il flusso. L’eventuale inerzia di Ankara nella modifica degli approvvigionamenti idrici agli impianti controllati dalle milizie di al-Baghdadi, dunque, alimenta i sospetti dei curdi. Un altro elemento portato in evidenza a sostegno di tale ipotesi è il rilascio non pubblicamente motivato dei quarantasei prigionieri turchi rapiti in giugno dall’ISIS a Mosul, avvenuto il 20 settembre scorso.
In conclusione l’azione di Ankara in merito al conflitto di Kobanê rientra in un disegno politico regionale della Turchia di indebolimento del fronte separatista curdo e dell’influenza dello storico nemico, il PKK. A tale motivazione si uniscono la volontà di rafforzare i legami con chi nel lungo periodo potrà soddisfare la crescente domanda turca di approvvigionamenti energetici, come il KDP di Barzani, e di fornire il proprio supporto per l’uscita di scena dell’ultimo rappresentante del Ba’ht siriano, Bashar al-Assad.
Tuttavia, un fattore da non sottovalutare è la presenza di nuovi movimenti di nazionalità curda nel territorio turco, costituiti soprattutto da giovani militanti. Questi gruppi potrebbero far leva su un sopito malcontento curdo e riprendere a condurre le attività terroristiche perpetrate in passato dal PKK e mettere a repentaglio le trattative di pace. Allo stesso tempo, è logico aspettarsi per il 2015 che la gestione della questione curda, alla luce del più ampio contesto della crisi siriana, rappresenterà per Ankara un fronte ad impegno crescente, soprattutto per la concomitanza con l’appena iniziata presidenza del G20 e le elezioni parlamentari del giugno prossimo.
Eleonora Bacchi
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