È innegabile che quanto stia avvenendo in Siria, rammenti troppo ravvicinatamene l’escalation di violenze e le dinamiche della guerra in Iraq. Una guerra rovinosa in tutti i sensi. Innanzitutto per il Paese stesso, martoriato e prostrato, dove si stava meglio quando si stava peggio ma anche per la controparte, l’Occidente, perché sarà anche un caso, la nemesi, ovvero la crisi economica internazionale è iniziata più o meno in concomitanza con la fine dell’occupazione militare dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e con la sua conseguente esportazione in Europa. Ovviamente, essendone stati gli alleati.
Parallelismi e simmetrie storiche, culturali ed anche strutturali a parte, che caratterizzano i due Paesi: l’attuale Siria e il vecchio Iraq di Saddam Hussein. La Siria e l’Iraq sono eredi della medesima civiltà mesopotamica e cultura cuneiforme, sono entrambe – l’Iraq molto meno rispetto a prima del conflitto – dei mosaici multiconfessionali e infine erano e la Siria lo è ancora, dei Paesi guidati da una leadership del partito Ba’ath (Rinascita) di cui Assad è l’ultimo esponente.
Un’ideologia nazionalista araba, d’ispirazione laica e socialista, fondata dai siriani Michel ?Aflaq, cristiano e Salah al-Din al-Bitar, musulmano, a Damasco nel 1940. Insomma una sorta di mondi paralleli in cui dei governi guidati da personalità laiche e di forte carattere erano riuscite, nel corso di decenni, a mantenere integro quel fragile equilibrio che permetteva a queste antiche minoranze di coesistere e di prosperare all’interno di una società sunnita non ancora salafizzata o peggio al-qaidizzata. Dico di prosperare perché tutti ricorderanno Tariq Aziz, l’ex vice-primo Ministro cattolico-caldeo del governo di Saddam Hussein.
Bashar al-Assad stesso è di fede alawita, ovvero un eretico, per la maggioranza sunnita. Gli esempi potrebbero essere innumerevoli, io stesso ricordo di avere conosciuto ad Aleppo, un generale dell’esercito siriano di fede cristiana, molti anni fa in occasione di un viaggio. Sta di fatto che nell’Iraq post-bellico e socialmente salafizzato, un’equivalente situazione è impensabile. Ideologia forse appartenente al secolo trascorso quella ba’athista, un modello di stato secolare alla guida di una popolazione a maggioranza musulmana ma che comunque, in linea di principio, contemplava l’incontro delle civiltà anziché lo scontro. Emblematici ne sono i fondatori.
Peraltro la Siria negli ultimi anni cominciava ad avere anche una certa crescita economica. La Turchia la considerava uno sbocco fondamentale per i propri mercati ed un partner importante per l’industria petrolifera di Ankara. Tant’è che il ministro del Commercio e dell’Industria turco, Zafer Çaglayan, aveva proposto la creazione di una ? road map finalizzata ad implementare le relazioni bilaterali.
Ora la Siria, che è un Paese non allineato – uno stato canaglia, secondo certi paramenti – disposto su uno scacchiere nevralgico e in continua metamorfosi come quello medio-orientale, a partire dal 2011, ha iniziato a subire attacchi terroristici. E questo da parte di forze esterne, sulla scia delle cosiddette “primavere arabe” che dietro il volto apparentemente innovativo e foriero di speranza, si stanno rivelando per quello che sono: escamotage atti a destabilizzare quest’area del pianeta, fulcro geoeconomico, dove avviene il grosso delle transazioni commerciali internazionali a discapito del mega-progetto eurasiatico.
Ufficialmente in occidente si parla di guerra civile siriana. Un conflitto in corso nel Paese che vede contrapporsi le forze governative e quelle di una non ben definita opposizione.
E soltanto questo ci fa comprendere quanto già la terminologia possieda un’intrinseca funzione strategica di guerra psicologica, poiché altro non è se non un eufemismo, che con un’espressione più realistica si potrebbe definire demonizzazione preventiva cui necessariamente consegue la “guerra umanitaria” su modello Kosovo in prospettiva irachena, come scrive Ugo Tramballi, sul Sole 24Ore del 27 agosto.
Le analogie sono eclatanti. La situazione evoca quella dell’Iraq sia della fase pre- che postsaddamita, quindi quella del Kosovo e dei “bombardamenti etici”. Solo che in Siria le infiltrazioni di terroristi al-qaidisti e degli agenti delle monarchie wahhabite del Golfo sono iniziate da tempo, perpetrando stragi di civili e creando una strategia della tensione finalizzata a dimostrare l’esistenza di un movimento antigovernativo che combatte per la libertà e la democrazia contro un esercito lealista disposto a tutto pur di mantenere lo status quo.
Dopo innumerevoli stragi, massacri e uccisioni indiscriminate, recente è la notizia dell’utilizzo di gas nervini contro la popolazione civile che Washington intende utilizzare quale casus belli per intervenire. E la conseguenza sarà che, come canta Battiato: “gli stati servi s’inchinano a quella scimmia di presidente, si invade si abbatte, si insegue si ammazza il cattivo, si inventano democrazie”.
Secondo la stampa, dei cecchini appartenenti alle milizie fedeli ad Assad avrebbero addirittura sparato sul convoglio degli ispettori onusiani incaricati di indagare sul presunto uso di armi chimiche.
«Consultazioni in corso circa la risposta appropriata all’attacco con armi chimiche in Siria del 21 agosto»: si tratta della presunta strage lealista con missili al gas nervino nell’oasi di Ghouta, alla periferia est di Damasco, che a detta dei ribelli avrebbe provocato centinaia di morti tra la popolazione civile – scrive il Sole 24Ore –. Si fa dunque più vicina la possibilità di un attacco – continua – deciso dall’amministrazione Usa. Un attacco limitato, della durata di “non più di due giorni”, con missili lanciati dalle navi da guerra nel Mediterraneo. È l’opzione che il presidente americano Barack Obama starebbe valutando per rispondere all’uso di armi chimiche in Siria [1].
Peccato che il pretesto delle “armi chimiche” sia stato impiegato anche alla vigilia dell’aggressione all’Iraq, salvo poi rivelarsi totalmente immotivato ma ahimè in ritardo, a occupazione conclusa. In Iraq, dopo stragi, mattanze e le torture di Abu Ghraib, che rappresentano il clou dell’esportazione della democrazia, ora transitivamente si vorrebbe iterare il tutto in Siria. Ma la memoria, si sa, è breve. Dobbiamo ancora prestare credito a tali stratagemmi innescando una reazione a catena di cui non possiamo prevederne gli esiti, come dice Alberto Negri sempre sul Sole 24Ore, con rischio di allargamento del conflitto?
Damasco ha smentito di aver usato armi chimiche nei bombardamenti. «Le informazioni sull’utilizzo di armi chimiche a Ghouta sono completamente false», ha affermato l’agenzia di stampa ufficiale Sana. L’agenzia ha quindi accusato le emittenti satellitari al Jazeera e al Arabiya di complicità nello “spargimento di sangue siriano e nel sostegno al terrorismo”, con la diffusione di informazioni «infondate» [2]. Tuttavia, i media occidentali che descrivono Bashar al-Assad come il satrapo della situazione, stabiliscono la veridicità delle informazioni.
Il Presidente siriano al quotidiano russo, Izvestia, ha rilasciato un’intervista, ripresa da Repubblica, in cui, anch’egli smentisce tale versione inviando un messaggio al mondo in cui ammonisce che: “Se qualcuno sogna di trasformare la Siria in una marionetta dell’Occidente, è completamente fuori strada. La Siria è uno stato indipendente, ci batteremo contro il terrorismo”. Quindi ha aggiunto che “l’America perderà come in Vietnam”. Questo lo aveva preconizzato anche Saddam Hussein e non si era sbagliato. L’Iraq non è stata una vittoria, come non lo è stata l’Afghanistan e non lo sarà nemmeno la Siria qualora le previsioni peggiori si realizzassero.
Ermanno Visintainer
References:
[1] http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-27/siria-attacco-salta-incontro-072815.shtml?uuid=AbnddhQI
[2] http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-21/siria-attivisti-morti-attacco-085601.shtml?uuid=AbDf93OI