Il grano, ancor più del gas, è un’arma diplomatica nelle mani della Russia e nel Mar Nero si profila una guerra di logoramento, con tanto di schieramento di grandi potenze. La fase del libero scambio di merci e capitali a livello globale, al pari del trasporto di persone a bassi prezzi e ovunque, è un ricordo, con un blocco reciproco alle catene di approvvigionamento globale. La Cina, che dimostra di vedere lungo, si è preparata alla guerra e soprattutto a un’economia di guerra e nell’ultimo anno ha velocizzato il disimpegno dal debito pubblico americano seppur in programma da anni. Altre potenze regionali come Turchia e Israele cercano con alterni equilibrismi e per ovvi motivi di non infastidire il gigante russo. Gli alleati occidentali, avendo progressivamente dimenticato l’uso della diplomazia, cercano di raffazzonare ingressi all’UE o alla NATO alla disperata ricerca di altri alleati e millantano una disponibilità al dialogo in Nagorno-Karabakh.
Di rimpetto al Mare di Azov, Erdogan ha registrato diverse vittorie diplomatiche e militari, in Africa e in Medio Oriente. La settimana scorsa, ha chiuso il grain deal facendo da garante tra i due schieramenti – al riscaldamento e ai chip ci si penserà dopo; magari dopo aver rivinto le elezioni in programma l’anno prossimo. Del nuovo ruolo della Turchia ha parlato, con grande chiarezza, Carlo Marsili, ex ambasciatore italiano ad Ankara, durante la XIX edizione del workshop internazionale del think tank Il Nodo di Gordio, organizzato da Daniele Lazzeri a Baselga di Pinè.
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