Per vederlo ho incrociato inavvertitamente Figliuolo senza mascherina sul TG1, se fossi il suo spin doctor gli consiglierei di non togliersela mai. Parlo del Gianni Schicchi di Michieletto, il film-opera osannato dal mainstream mediatico ed anche apprezzato da un competente, non nel senso del governo dei migliori per sua fortuna, musicologo come Francesco Maria Colombo sulla sua imperdibile rubrica settimanale di Sky Classica, Kaiserwalzer. Premettiamo che non ci riteniamo esperti, ma solo modesti cultori, timidi frequentatori delle pagine di Piero Buscaroli e Paolo Isotta, con una discreta idiosincrasia delle interpretazioni moderniste dei classici, pure avendo vissuto la stagione del Living Theatre e di Ronconi, per non parlare di Rostagno e delle altre avanguardie che hanno segnato la nostra meglio gioventù. Aggiungiamo che ringraziamo comunque la RAI per aver mandato in onda l’opera di Puccini-Forzano, anche se alle 23:30. Lo sappiamo, non sono più i tempi di Ettore Bernabei e di quella televisione superba in tutti i sensi che voleva educare, dobbiamo accontentarci di vederne le reliquie su Raiplay oppure, se si è fortunati, su YouTube. La Finanza che ha il dominio dei media questo ci lascia nell’appiattimento programmato dell’ antropologia culturale del nostro tempo. E quindi abbiamo imparato a non obbiettare alla dittatura dello share e dell’audience, benché nutriamo più di un dubbio sulla validità degli strumenti di misurazione. Tant’è la nostra è l’età della comunicazione e del politicamente corretto che ad essa è strettamente legato, per cui chiniamo la fronte al massimo fattore che è appunto il Denaro e non il Dio che atterra e che consola, Bergoglio ci comprenderà.
La libertà di critica però ce la teniamo tutta ed allora a te, caro Michieletto, non importerà niente ma non ci hai convinti. Proprio perché il Gianni Schicchi è un’opera di critica sociale di straordinaria potenza a partire dal rovesciamento della Divina Commedia, “la gente nova ed i subito guadagni”, Schicchi impersona l’homo novus che scende “dalle convalli limpide e feconde” a “far più ricca e splendida Firenze”, come Giotto ed i Medici e non un mezzo camorrista come sembra emergere dalla presentazione di Augias, di cui si poteva benissimo fare a meno. E Laurent Pelly nella sua versione del 2004, la più bella con la direzione di Ozawa e un Corbelli insuperabile, lo coglie benissimo nell’incipit che intreccia le immagini della Firenze-Museo attuale con i quelle degli indici della Borsa. Fate presto, la potete trovare ancora su YouTube. Ridurre questo capolavoro di musica e sceneggiatura a un rassemblement di tic e di guitti è come fare della Madama Butterfly una semplice storia d’amore e non lo scontro tra due epiche, quella dell’onore perdente e quella dell’oro vincente. Ci voleva forse il miglior Monicelli, come evoca lo stesso giovane regista in un’intervista, soprattutto bisogna immedesimarsi nell’amicizia tra il maestro ed il grandissimo Forzano, una collaborazione fatta di un’arguzia toscana tanto popolare quanto raffinata ormai perduta.
Ce lo ricorda in un raro filmato lo stesso drammaturgo. A Puccini che gli chiedeva “un momento per un terzettino, la vecchia, Ciesca, Nella, sarebbe male?”, accompagna il terzetto con queste parole: “Prima che Gianni Schicchi andasse a letto lei voleva un terzetto. Eccole i versi, se le vanno e le sembrano carini, domani sera voglio i beccaccini. Arrosto naturalmente, questo non è un verso, ma sempre meglio intendersi.”
Buon anno nuovo a tutti.
La Redazione
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