di Davide Montingelli
Il bicentenario della morte di Napoleone Bonaparte deve imporci diverse riflessioni, e non solo di carattere storico. Certamente il “piccolo caporale” è tra i personaggi più dibattuti e divisivi di tutti i tempi: amato e lodato per aver portato il germe della Rivoluzione Francese in un’Europa ancorata all’ancient régime, con tutto il suo sistema di norme e libertà conseguenti, ma al contempo odiato e osteggiato con incredibile vigore per la sua politica imperialistica e la sua condotta di governo tirannica e guerrafondaia.
«Seguendo la via di mezzo, camminerai sicurissimo», diceva il poeta romano Ovidio.
E così si deve fare, dal momento che l’esempio napoleonico può dare lezioni concrete, e a tratti brutali su come occorra agire per un’Europa forte e temuta.
Lo screzio Draghi/Erdogan è la prova lampante (l’ennesima purtroppo) che l’UE ha bisogno di essere completamente rivista: un’istituzione che ha l’ambizione di rappresentare un’Europa unita non può defilarsi in un caso come questo, anche se sono presenti grossi interessi in ballo (questione migranti e problema energetico su tutti). La diplomazia europea appare spesso debole, poco convinta ed efficace, e il problema a mio parere è semplice quanto nevralgico: la mancanza di una forza militare. «E’ principali fondamenti che abbino tutti li stati, cosí nuovi come vecchi o misti, sono le buone legge e le buone arme» dice Machiavelli ne Il principe. La mancanza di buone arme, di un esercito comune cioè, è uno dei mali atavici dell’istituzione europea.
Napoleone faceva grandissimo affidamento sulla macchina bellica: a partire dal 1803 presso Boulogne-sur-Mer l’imperatore plasmò una delle forze militari più formidabili della storia umana, la Grande Armée. Non solo Francesi, ma anche Spagnoli, Tedeschi, Italiani facevano parte di quella che era a tutti gli effetti una forza multinazionale, una forza che ai comandi di Napoleone conquistò gran parte del vecchio continente. Ora, non ci si aspetta che nell’attuale sistema internazionale l’Unione Europea ammassi un esercito di 200.000 uomini sulle coste francesi della Manica (in questo modo magari Johnson potrebbe cambiare idea sulla Brexit, chissà!): la guerra in Europa non va più di moda, momentaneamente; il valore dello strumento bellico però rimane immutato.
Le armi sono presupposto e garanzia in materia di relazioni internazionali e diplomazia.
Tale mancanza, oltre che essere causata dalle volontà degli stati membri, ancora ancorati alle loro prerogative nazionali, è determinata da un fattore di tipo ideologico, o meglio non-ideologico: non bastano i diritti per creare un trait d’union tra gli stati. Come ben ha sottolineato il Professor Galli della Loggia, l’Europa in passato ebbe la cultura greco-romana, poi i dogmi cristiani. Oggi cosa condividono i popoli europei, tolto un debole cosmopolitismo? Poco o niente.
Seppur per pochi anni, grazie al suo personale magnetismo e agli ideali di cui si faceva portatore, Napoleone radunò intorno a se non solo soldati, ma anche letterati, scrittori, artisti: la sua figura ispirò Canova, Hegel, Louis-David e Goethe. A quest’ultimo il corso offrì persino la prestigiosa investitura a poeta laureato dell’impero, un impero europeo.
Duecento anni prima della nascita dell’Unione Europea, Napoleone espresse la necessità di una legge europea, di una Corte di Cassazione europea, «per fare di tutti i popoli europei un unico popolo». Il corso lavorò personalmente alla creazione del nuovo Codice civile: leggeva gli atti e proponeva modifiche, anche durante le sue campagne militari. Ad oggi il Code Napoléon è uno dei sistemi giuridici più diffusi, in Europa e nel mondo.
Certamente il percorso politico dell’Empereur presenta innumerevoli criticità, specie per gli standard democratici della nostra epoca. Le nostre istituzioni comunitarie devono riuscire a concepire che l’Europa non è nata con la fine della seconda guerra mondiale.
In questo modo riusciremmo ad attingere da quello che è senza ombra di dubbio un fulgido esempio. Alla Gloria ci penseranno i posteri.
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