“La Bella”, nome dato dai portoghesi a Taiwan attorno alla metà del XVI secolo, è un’isola tropicale situata nel Mar Cinese Orientale a 100 miglia al largo della costa sud-orientale della Cina. E’ un paese con una popolazione di 24 milioni, non solo un ammasso di grandi città grigie e industriali come la maggior parte delle persone immagina, ma è una destinazione affascinante ed unica tra le più variopinte in Asia, con un paesaggio ricco e colorato (montagne, laghi, fiumi, pianure, bacini). Idilliaco dal punto di vista turistico, ma che si trova ad affrontare forti tensioni con la Cina, intensificatesi negli ultimi anni.
Cina e Taiwan sono separate dal 1949 dopo che i nazionalisti di Chiang Kai-shek abbandonarono la terraferma in seguito alla guerra civile. Taiwan era sfuggita alla conquista di tutto il territorio cinese della “lunga marcia” guidata da Mao Zedong in quanto era stato impossibile occuparla.
La Cina considera Taiwan come proprio territorio e afferma che le parti devono, alla fine, essere riunite, anche con la forza, se necessario.
Il presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, insieme al governo, di fronte a queste minacce crescenti, si è sempre imposto. In occasione della sua rielezione per il secondo mandato, lo scorso anno, ha detto che la sovranità di Taiwan non è negoziabile in quanto indipendente.
Ultimamente qualcosa si starebbe muovendo. In ambito internazionale, il 10 gennaio, l’allora segretario di Stato americano, Mike Pompeo, aveva annunciato la revoca da parte degli Stati Uniti delle “restrizioni autoimposte” ai contatti tra diplomatici e funzionari americani e taiwanesi, ponendo fine a una politica di lunga data messa in atto per “placare” la Cina.
La fine delle restrizioni annunciata da Pompeo ha segnato un importante cambiamento nelle relazioni. Taipei ha immediatamente salutato la mossa come la fine di “decenni di discriminazione”.
La decisione degli Stati Uniti ha irritato la Cina che, attraverso i media ufficiali del paese, ha criticato aspramente Pompeo e accusandolo di “cercare di infliggere maliziosamente una cicatrice di lunga durata” ai legami bilaterali, in vista del giuramento di Joe Biden.
Tuttavia, Pechino aveva esortato a non reagire in modo eccessivo a quello che ha definito l’ultimo “atto disperato” dell’amministrazione Trump nelle relazioni con Taiwan.
A Washington, il 19 gennaio scorso, durante un’udienza di conferma davanti alla commissione per le relazioni estere del Senato, il neo Segretario di Stato, Antony Blinken, ha promesso che gli Stati Uniti continueranno a onorare i propri impegni nei confronti di Taiwan e provvedere alla sua difesa. Ha accennato agli sforzi per ampliare la partecipazione di Taiwan nelle organizzazioni internazionali e ha messo in guardia la Cina dall’intraprendere qualsiasi azione militare contro il paese.
Alla domanda del senatore Lindsey Graham (R-SC) se gli Stati Uniti debbano continuare a “garantire la democrazia taiwanese”, Blinken ha affermato che Washington ha un “impegno costante, di lunga data e bipartisan nei confronti di Taiwan e del Taiwan Relations Act”. Ha sottolineato che gli Stati Uniti devono garantire a Taiwan la capacità “di scoraggiare l’aggressione, e di difendersi”.
Nel 1979 il Presidente statunitense Jimmy Carter decise di porre fine alle relazioni diplomatiche con Taiwan, tagliando i ponti con i nazionalisti di Taipei, e da allora Washington ha fatto affidamento sul Taiwan Relations Act per gestire i suoi legami non ufficiali con Taipei. Fino a poco tempo fa Washington aveva evitato grandi manifestazioni di amicizia per non inimicarsi Pechino, che continua a vedere la democrazia autonoma di 24 milioni di persone come una parte inseparabile del suo territorio.
Ha sottolineato che Taiwan è “per molti versi un modello di democrazia, un’economia forte e una potenza tecnologica” che ha saputo gestire l’epidemia di coronavirus di Wuhan, “ha molte lezioni da insegnarci”.
Il senatore Graham ha poi affermato che nel caso la Cina scegliesse di usare la forza militare contro Taiwan, “creerebbe grandi sconvolgimenti in tutto il mondo, e pagherebbe un prezzo pesante“. Ha poi chiesto se Blinken fosse d’accordo con quella dichiarazione. Blinken ha risposto rapidamente dicendo: “Sarebbe un grave errore da parte loro”.
Per gli Stati Uniti, l’isola non è solo un baluardo contro la Cina: Taiwan è anche uno dei principali produttori di chip per computer per il mondo intero. Ma, soprattutto, Taiwan è un partner democratico nell’Asia orientale.
Dal punto di vista militare, il 17 agosto 2020, il presidente di Taiwan, Tsai-Ing Wen, aveva annunciato per il 2021 il più grande budget militare mai stanziato per Taiwan, destinando circa 15,4 miliardi di dollari alla difesa. Il presidente taiwanese Tsai Ing-wen ha cercato di rafforzare le difese dell’isola con l’acquisto di miliardi di dollari in armi dagli Stati Uniti, inclusi caccia F-16 aggiornati, droni armati, sistemi missilistici e missili Harpoon in grado di colpire navi e bersagli terrestri.
Ha anche rafforzato il sostegno all’industria degli armamenti dell’isola, compreso il lancio di un programma per costruire nuovi sottomarini per contrastare le capacità navali in continua crescita della Cina.
Gli USA per aiutare Taiwan a scoraggiare potenziali tentativi cinesi di conquista, forniscono regolarmente a Taiwan il materiale difensivo di cui ha bisogno per la difesa nazionale e contrastare un attacco cinese. Lo scorso ottobre, gli Stati Uniti hanno approvato la vendita di armi a Taiwan per circa 1,8 miliardi di dollari, necessarie a mantenere elevata la credibilità delle forze armate taiwanesi e a ricordare a Pechino che il prezzo per attaccare Taiwan potrebbe essere troppo alto.
L’esercito cinese conta circa 2 milioni di soldati, la Cina ha la più grande marina, con circa 350 navi, tra cui due portaerei e circa 56 sottomarini. Possiede inoltre circa 2.000 caccia e bombardieri e 1.250 missili balistici con lancio da terra, considerati un’arma strategica e psicologica chiave contro Taiwan. Le forze armate di Taiwan sono una piccola frazione di quel numero, con gran parte della forza di terra composta da coscritti a breve termine, e la sua flotta conta solo circa 86 navi, circa la metà delle quali imbarcazioni missilistiche per pattugliamento costiero.
I rapporti di Taiwan con gli Stati Uniti, sono partiti alla grande sotto il governo del presidente Biden, dopo che l’ambasciatore de facto dell’isola ha partecipato per la prima volta al giuramento con un invito ufficiale.
Al momento, i segnali della posizione di Biden su Taipei appaiono abbastanza chiari, e portano a pensare ad una continuazione delle recenti politiche attuate da Trump.
D’altronde anche in campagna elettorale americana, la questione Hong Kong e Taiwan non è stata mai oggetto di aspri contrasti tra democratici e repubblicani. La linea dura che Trump ha intrapreso nei confronti di Pechino è sostenuta anche da molti democratici. Sarebbe comunque saggio attendere futuri sviluppi delle relazioni soprattutto quelle con Pechino. Di fatto, una marcia indietro da parte americana potrebbe essere interpretata come un gesto di debolezza.
Elvio Rotondo
Country Analyst think tank “Il Nodo di Gordio”
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