Nonostante sia separata dalla Cina continentale da un breve braccio di mare, l’arcipelago di Taiwan ha registrato pochissimi casi di Covid (ad oggi 447 su 27 milioni di abitanti) e sette decessi. Spesso assimilata a una generica esperienza asiatica di lotta al Covid, la vicenda taiwanese ha invece delle peculiarità notevoli, in particolare rispetto all’impiego dei mezzi digitali in una storia di contrasto all’epidemia decisamente di successo, nonostante l’interscambio di persone con la Cina popolare. Il governo taiwanese è riuscito ad evitare il blocco delle attività, offrendosi come zona libera dal Covid alle grandi multinazionali che avevano esternalizzato i propri stabilimenti nella Cina popolare.
Audrey Tang, una delle principali figure dell’informatica taiwanese, detiene il ministero digitale nel governo della presidente Tsai Ing-wen.
Come ha funzionato la piattaforma digitale di contrasto alla diffusione del COVID scelta da Taiwan?
Abbiamo eseguito un tracciamento dei contatti dei pochi casi di Covid, ma non attraverso una specifica app per la raccolta di dati. Fondamentalmente, non raccogliamo dati aggiuntivi per contrastare il Covid, quando e dove possiamo. Essendoci attivati per tempo, abbiamo agito sulle frontiere quando ancora nel Paese non vi erano focolai di contagio. Chi entra a Taiwan, cittadino o non, provenendo da un località ad alto rischio viene messo in quarantena, a casa sua o in alberghi usati per questo fine. Per controllare il rispetto della quarantena usiamo una barriera digitale: se il cellulare esce dalla area di quarantena, un SMS automatico viene inviato all’albergatore e alla polizia. Lo stesso avviene se il telefono viene spento, o se rimane a lungo fermo nello stesso posto, oppure se non vi è risposta ai messaggi di controllo in cui si chiede la temperatura corporea, per esempio. Usando questi mezzi, non c’è stato bisogno di una ulteriore raccolta di dati, come vorrebbe questa litania delle app Bluetooth-traccianti. Di solito veniamo accomunati alla Corea del Sud e a Singapore, ma abbiamo utilizzato procedure molto diverse. Voglio dire che non abbiamo impiegato braccialetti elettronici o app che registrino i contatti Bluetooth (come quella in adottata in Italia, NdR), ma abbiamo semplicemente usato i dati già in possesso delle compagnie telefoniche per controllare l’esecuzione della nostra prima misura di contenimento dell’epidemia, che non è digitale ma sociosanitaria: quattordici giorni di quarantena.
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Questo è un estratto dell’intervista realizzata per conto del think tank Il Nodo di Gordio da Matteo Gerlini, dell’Università La Sapienza di Roma, a Audrey Tang, che nel governo di Taipei è titolare del ministero per la digitalizzazione. L’intervista integrale sarà pubblicata su Nodo di Gordio.