Intervista a Daniele Lazzeri, Chairman think tank “Il Nodo di Gordio” a cura di Zaur Mehdiyev per la rivista “Zerkalo”
Come sa, il 10 novembre è terminata la guerra di 44 giorni nel Nagorno-Karabakh. L’Azerbaigian ha restituito sotto il suo controllo una parte significativa delle terre precedentemente occupate. Il resto verrà gradualmente restituito dalla parte armena del conflitto. Quanto è stata naturale la vittoria dell’Azerbaigian?
Non c’è nulla di naturale né di scontato quando inizia un conflitto. Nel caso della guerra dei 44 giorni c’è stata però la giusta rivendicazione da parte dell’Azerbaigian dei territori occupati dall’Armenia in Nagorno Karabakh e nei 7 distretti limitrofi. È stata una guerra cruenta con molti morti anche tra i civili anche se è durata solo 44 giorni. Ma alla fine ha prevalso il diritto di Baku a riprendere possesso dei propri territori, così come sancito da numerose risoluzioni internazionali.
Secondo Lei, cos’è più importante sul campo di battaglia: la tecnica o il coraggio personale di un soldato?
Non c’è alcun dubbio che nelle guerre moderne, la capacità tecnologica delle forze militari assume una rilevanza centrale. Così come è di fondamentale importanza essere dotati di apparati di “intelligence” efficienti, soprattutto quando si tratta di combattere guerre asimmetriche. Tuttavia, ci sono ancora conflitti dove il fattore umano è cruciale. In particolare, se sul campo di battaglia si scontrano dei soldati che hanno a cuore la difesa della propria Patria. È questo che distingue un soldato patriota da un mercenario o da un soldato inviato a combattere una guerra in uno Stato lontano da casa e di cui poco gli interessa. I primi fanno la guerra, i secondi semplicemente stanno lavorando…
Al momento, i generali in Armenia sono in armi contro il Primo Ministro Pashinyan. L’opposizione lo accusa di tradimento e minaccia di vendetta. La parte armena ha possibilità di vendetta?
Più che di tradimento, a mio avviso il Premier Pashinyan viene accusato di aver perso la guerra. Di non essere stato in grado di difendere i territori occupati. L’impressione è che l’Armenia si senta abbandonata dai suoi alleati storici come Russia e Iran che hanno preso posizioni molto diverse rispetto al passato. Evidentemente qualcosa è cambiato in questi decenni…
Secondo Lei, perché, in 30 anni di storia del conflitto, la comunità mondiale non ha potuto influenzare l’Armenia e costringerla a liberare i territori occupati?
Perché le organizzazioni internazionali hanno dimostrato di essere state superate dalla storia. È sufficiente pensare a tutti i fallimenti dell’ONU in diverse regioni del mondo. Non si può pensare di risolvere le guerre che affondano le proprie radici nel lontano passato con qualche risoluzione internazionale o con minacce di sanzioni. Per dirimere i conflitti che sconvolgono molte popolazioni in molte aree del pianeta servono sostegni e interventi militari.
Secondo l’accordo trilaterale, le forze di pace russe stanno assicurando il processo di pace di trasferimento delle regioni sotto il controllo dell’Azerbaigian, che era rimasto sotto il controllo dell’Armenia prima della firma dell’accordo. In che modo ciò ha influito sugli equilibri di potere nella regione?
L’intervento della Russia come mediatore nella guerra dei 44 giorni, così come il supporto garantito dalla Turchia ed il sostegno di Israele sono stati un elemento decisivo per la fine del conflitto. È chiaro che ora cambieranno gli equilibri in tutto il quadrante di quell’area, a partire dal Caucaso meridionale.
Il cambiamento dell’Amministrazione della Casa Bianca potrebbe influenzare il processo in corso?
Ritengo l’Amministrazione guidata da Joe Biden stia già modificando notevolmente l’approccio della politica estera americana in diverse regioni. Basti pensare al peggioramento delle relazioni con la Cina, al ridisegno delle strategie mediorientali e alle gravi dichiarazioni di Biden nei confronti del Premier russo Vladimir Putin. E proprio le tensioni con Mosca potrebbero creare qualche difficoltà nella prosecuzione del processo di pace.
L’Azerbaigian ha accettato di trasportare il gas attraverso il suo territorio per l’Armenia. Come valuterebbe questo gesto di Baku?
È decisamente un gesto di disponibilità e apertura per normalizzare la situazione. Un primo passo che però non è sufficiente a rasserenare il clima complessivo. Le tensioni interne all’Armenia infatti potrebbero non placarsi nel breve termine.
Come valuterebbe la posizione dell’Iran durante la guerra? Nelle più alte sfere del potere, parole di sostegno sono state rivolte all’Azerbaigian.
Visti gli storici rapporti che legano Tehran a Yerevan, la posizione iraniana rispetto alla guerra in Nagorno Karabakh è stata per molti una sorpresa. In realtà la preoccupazione espressa del Presidente Rouhani era quella del rischio di una pericolosa escalation del conflitto che avrebbe potuto destabilizzare tutta la regione con effetti incalcolabili.
E l’ultima domanda: ci sono minacce di una nuova guerra per il Karabakh in caso di rovesciamento del Premier Pashinyan?
Purtroppo, non è da escludere questo rischio. Il fallito tentativo di golpe nasconde in realtà un profondo malessere che attraversa l’Armenia. Dal malumore dei Generali dell’Esercito per l’esito della guerra alle preoccupazioni per lo stato di salute dello Stato evidenziato da larga parte dell’opposizione. L’Armenia sta affrontando in queste settimane una grave crisi interna dagli esiti politici e militari difficilmente valutabili.