L’Armenia sta attraversando un periodo di forte crisi economica e sociale. Il perdurare della tensione con l’Azerbaigian e la condanna della Corte dell’Aja. I rischi per gli equilibri regionali
Le recenti, violente, manifestazioni di Erevan, presto degenerate in episodi di guerriglia urbana, per quanto innescate da un aumento – 17% – del costo dell’energia elettrica, è la spia di uno stato di tensione che attraversa la Repubblica di Armenia e travalica i suoi stessi confini.
Minacciando di destabilizzare ulteriormente i già precari equilibri di tutta la regione caucasica.
Ad incidere sulla crisi economica che sta travagliando l’Armenia – la più povera delle Repubbliche ex-sovietiche del Caucaso, sostanzialmente priva di materie prime e soprattutto di risorse energetiche – è il perdurare della tensione con la limitrofa Repubblica dell’Azerbaigian per la questione del Nagorno-Karabach. Una enclave con la maggioranza della popolazione armena, ma che, nel periodo sovietico, costituiva una provincia autonoma della Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigian. Cosa che, all’implosione dell’URSS, provocò un lungo e sanguinoso conflitto fra le due giovani repubbliche di Armenia ed Azerbaigian, protrattosi dal gennaio del 1992 sino al maggio del 1994, ma mai giunto ad una vera e propria conclusione, visto che ancora di recente, i fuochi della guerra hanno più volte minacciato di riaccendersi. E soprattutto a causa del completo fallimento delle trattative fra Baku e Erevan, gestite, in sede internazionale, da cosiddetto “Gruppo di Minsk”, un’istituzione dell’OSCE, composta da tre attori principali che la presiedono, Francia, Russia e Stati Uniti, cui si aggiungono, in posizione molto più defilata e, si potrebbe dire, subordinata, Italia, Germania, Turchia, Portogallo, Bielorussia, Paesi Bassi, Finlandia e Svezia. Una composizione squilibrata, visto che la Russia è strettamente legata all’Armenia da un’alleanza, oltre che economica, anche politica e militare, e Parigi è sempre stata dichiaratamente dalla parte di Erevan, in forza anche dell’influente lobby elettorale armena presente in Francia. Quanto a Washington ha preferito sempre assumere, in questa mediazione, un profilo basso, lasciando per lo più l’onere del comando a russi e francesi.
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