In questi tempi non si fa che parlare di ISIS e delle sue atrocità, delle sue nefandezze, delle sue efferatezze.
Dopo le decapitazioni, le crocifissioni, i roghi umani, ultima in ordine di tempo: lo scempio arrecato al museo nazionale di Ninive, in Iraq, dove i miliziani hanno fatto un’irruzione distruggendo a martellate secoli, millenni di testimonianze di una cultura certamente locale ma altresì – come è stato commentato – mondiale. Questo perché la regione storica della Mesopotamia è culla della civiltà umana oltre che di quella irachena.
Non manca, sia fra gli arabi sia fra gli occidentali (noi in primis), chi rimpiange Saddam Hussein o Gheddafi.
Edward Luttwak, in una recente intervista rilasciata a Daniele Lazzeri, il chairman della rivista di geopolitica “Il Nodo di Gordio”, ha affermato che “in Libia hanno rimosso Gheddafi con quest’idea citrulla secondo cui: togli via il dittatore e viene la democrazia. No, nel mondo arabo togli la dittatura e viene l’anarchia, l’abbiamo viso paese dopo paese”.
E il critico d’arte Vittorio Sgarbi, in un’intervista radiofonica rilasciata a “Il Nodo di Gordio”, chiede l’istituzione di un Tribunale Internazionale per processare e punire i terroristi dell’ISIS che hanno distrutto il museo di Mosul in Iraq.
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L’articolo completo di Ermanno Visintainer, su ragusaoggi.it —> La furia iconoclasta dell’ISIS, realtà o finzione?