La Turchia avrebbe presentato ufficialmente la propria candidatura per aderire ai Brics, ormai divenuti già Brics+ dopo gli ultimi ingressi di Iran, Emirati Arabi Uniti ed Egitto. La richiesta di adesione di Ankara al blocco economico “alternativo” verrà messa al bando degli Stati membri al prossimo summit dell’organizzazione, che si terrà a Kazan dal 22 al 24 ottobre prossimo. Ciò è quanto è stato riportato da Bloomberg lunedì 2 settembre. Nonostante possa apparire come uno strappo decisivo verso l’Occidente, con questa mossa Ankara segnala ancora una volta l’impressionante abilità di giocare su più tavoli riuscendo a perseguire la propria multivettoriale e dinamica strategia. Viviamo in una particolare congiuntura storica: una serie di stati revisionisti intendono deteriorare il ruolo di Stati Uniti e soci nel mondo; dall’altra parte del campo i conservatori, anelanti lo status quo, poco inclini a suddividere quote di potere dopo aver sperimentato l’ebrezza della cima solitaria. La Turchia di Erdoğan rientra a pieno titolo nella prima categoria, ma lo fa a modo tutto suo. A differenza di Cina, Russia e Iran, la Turchia promuove il logoramento della Pax Americana direttamente da dentro il campo statunitense. Non adotta un estenuante approccio di confronto diretto, come Pechino, Mosca e Teheran. La manifestazione plastica dell’ambiguo atteggiamento anatolico nei confronti della talassocrazia si è palesata nella guerra russo-ucraina. Ankara ha saputo brillantemente sfruttare le opportunità concessegli dal 24 febbraio 2022 in poi. Dapprima ha evitato di aderire all’impianto sanzionatorio occidentale ordito contro Mosca, anzi, ha incrementato gli scambi bilaterali con la Federazione Russa andando a colmare il vuoto lasciato dai principali Paesi europei. Successivamente ha utilizzato la sua immagine di Paese equidistante dai belligeranti, per proporsi come mediatore. Vale la pena ricordare la vicenda degli accordi sul grano, raggiunti grazie alla mediazione anatolica. Sebbene non siano più in vigore, quest’ultimi, hanno permesso alla Turchia di proporsi come Paese garante della sicurezza alimentare verso tutti i destinatari dei cereali ucraini. Infine, avendo tenuto bloccata per quasi un anno la ratifica circa l’entrata della Svezia della Nato, l’ex Sublime Porta ha voluto mandare l’ennesimo segnale di centralità all’interno dell’impero americano.
Ankara è il terzo membro Nato per importanza, dopo Stati Uniti e Francia, è legata all’Unione Europea tramite un accordo di unione doganale nonostante una sua adesione viva una fase di stallo da almeno il 2018, allo stesso tempo si appresta a aderire al variegato blocco politico-economico dei Brics. La Turchia può essere ciò che vuole. La partecipazione a tutte queste organizzazioni, sebbene possa apparire innaturale, deve essere vista come una tattica utilizzata dagli apparati anatolici per accrescere peso e influenza del Paese, non come comunanza sentimentale. Nel futuro il pianeta sarà meno americanocentrico, Ankara l’ha capito e tenta di avvicinarsi al Sud Globale.
Paolo Lolli
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