Akhmet Yassawi (1093–1166), mistico centrasiatico e primo poeta kazako, può altresì essere considerato uno dei precursori dell’attuale dibattito sviluppatasi in Kazakhstan sulle tematiche della tolleranza e del dialogo verso altre culture e religioni, di cui questo Paese – primo fra le ex repubbliche sovietiche – si è fatto portavoce, inserendolo fra le priorità dell’agenda dell’OSCE della quale quest’anno ne detiene la Presidenza di turno. Inevitabilmente nell’affrontare tali argomenti si viene a toccare il tema nevralgico della religione che in queste regioni dell’Eurasia si identifica con l’Islam, a proposito del quale il Presidente Nursultan Nazarbayev, in passato, ne aveva criticato la demonizzazione, condannando però allo stesso tempo sia il radicalismo che il fondamentalismo religioso quali elementi estranei alla cultura kazaka.
Contestualizzando, tuttavia, la diffusione di questa religione in Asia Centrale, che al di fuori degli ambiti specialistici è sempre presentata e trattata – usando le parole di Franco Cardini – come una realtà omogenea e totalizzante, peraltro circoscritta all’arabismo, non si può fare meno di menzionare la figura di Akhmet Yassawi. Parlando della sua fenomenologia storica, schematizzando, si è soliti operare una tripartizione fra Islam arabo, persiano e turco. Il primo è quello della rivelazione, il secondo quello mistico-letterario, quindi, vi è la fase dell’islam “turco” o l’Islam politico-istituzionale e combattivo.
I turchi, in un primo momento strenui avversari dell’Islam, in seguito, soprattutto in epoca abbaside ne divennero i mercenari, tanto da guadagnarsi l’epiteto di “spada dell’Islam”. Tuttavia una delle maggiori vie di diffusione di questa fede presso i turchi non fu quella esclusivamente legata al fenomeno bellico ma bensì l’altra connessa al suo aspetto esoterico, ovvero il sufismo.
E a tal riguardo, tutt’altro ci pare tutt’altro che peregrino presentare Akhmet Yassawi, che fu uno dei rappresentanti di questa corrente iniziatica dell’Islam, attraverso i versi di un altro letterato particolarmente rappresentativo di un misticismo aperto al dialogo interreligioso, Mewlânâ Jalâl ad-Dîn Rûmî (Balkh, 1207 – Konya, 1273), poeta persiano d’Anatolia, che nel Mathnawî, la sua opera principale scrive:
Vieni, vieni, chiunque tu sia vieni che tu sia miscredente, mazdeo o idolatra, vieni il nostro convento non è luogo di sconforto, e se cento volte avessi infranto il tuo voto ancora vieni
Un componimento questo in cui egli invita eterodossamente chiunque, infedele, adoratore del fuoco (zoroastriano) o idolatra (etimologicamente buddhista) ad accedere alla propria dottrina. Pur essendo questo linguaggio intenzionalmente adogmatico, un aspetto tipico del sufismo in senso lato che peraltro, non trova un perfetto parallelismo in Akhmet Yassawî, il quale fu piuttosto una figura legata ai temi dell’ascesi ed alla manifestazione di poteri sovrannaturali, possiamo comunque asserire che un tale atteggiamento emerga dai dati biografici e leggendari esistenti a suo riguardo. Rûmî d’altra parte è anche posteriore. Tuttavia nella sua opera, il Dîvan-ı Hikmet (Divano di saggezza), Akhmet Yassawi, fra le altre cose cita come suo modello emulativo Mansur Al-Hallaj (IX sec.) – conosciuto in Occidente grazie agli studi di Louis Massignon – una figura che incarna il prototipo del conflitto fra l’antidogmatismo proprio dei sufi e l’ortoprassi dei dottori della legge, scrivendo:
Come Mansur, per conseguire la perfezione mi posi in contrasto (Hikmet IV)
Definito“Pîr-i Türkistân”, ovvero “Maestro, guida spirituale del Turkestan”, l’importanza di Akhmet Yassawi risiede nel fatto di essere stato l’iniziatore ed il promotore del misticismo turco-islamico, primo poeta kazako nonché fondatore della tariqa Yasawiyya. La sua notorietà ed il suo messaggio si diffusero prevalentemente presso le tribù turche nomadi dell’Asia Centrale, ma anche in Occidente, verso la regione del Volga e fino all’Anatolia. Le narrazioni sulla sua vita leggendaria sono dense di avvenimenti sensazionali dalle cui modalità è possibile ravvisare quelli che Mircea Eliade definisce i “temi mitici” o “complessi magico-religiosi” specifici dello sciamanesimo nord-asiatico con particolare riferimento al simbolismo ornitomorfo. Tant’è che Pio Filippani Ronconi, in una delle sue innumerevoli dissertazioni, riferendosi a questo mistico parla dei suoi “dervisci volanti” caratterizzati dall’acconciatura a due corna, che finirono col fondersi con i Bektashi ottomani. Perciò quella di Akhmet Yassawi è una figura che si pone a metà strada fra lo sciamano ed il mistico islamico. Tesi avvalorata anche dallo studioso turco Fuad Köprülü, il quale in Influence du Chamanisme Turco-mongol sur les Ordres Mystiques Musulmans (Istanbul 1929), evidenzia la particolare importanza posseduta da tali elementi per la storia religiosa del mondo turco.
Peraltro fra gli impulsi che svolsero un ruolo di catalizzatore nel creare i presupposti della transizione dalle antiche credenze sciamaniche verso la peculiare forma di sufismo professato da Akhmet Yassawi va certamente annoverata la presenza, in quell’area, della corrente spirituale malamatî-kalandarî sorta fra il IX e l’XI secolo in Khorâsân. Il termine arabo malamatî più o meno sinonimo dell’altro, kalandarî, designa chi ricerca l’altrui biasimo discostandosi dalla shari’a, la legge coranica, attraverso atteggiamenti antinomistici. Tutti questi elementi vengono poi ad intrecciarsi ed amalgamarsi in una sorta di complesso “sinergico-sintropico” da cui scaturisce tale forma di sufismo.
È evidente che considerando queste premesse, la dottrina di Yassawi non poteva certo caratterizzarsi per forme di fondamentalismo. Non dimentichiamo che sciamanesimo è anche sinonimo di paganesimo, ovverosia quanto di più antitetico esista rispetto all’ortoprassi islamica. Va tuttavia ricordato che parallelamente allo sciamanesimo, più diffuso nelle steppe, in queste regioni al confine con il mondo iranico, nelle principali città, convivevano altre religioni come il buddhismo, lo zoroastrismo, il nestorianesimo, nonché probabili influenze indiane ascrivibili a forme più o meno dirette di tantrismo. In origine l’Islam – seppur con qualche resistenza – si diffuse in Asia Centrale, attraverso l’espansione araba soprattutto dopo la celebre Battaglia del Talas (751), quell’evento culminante della storia geopolitica centrasiatica che interruppe la sinizzazione della regione cui ambivano i Tang. Tuttavia – come accennato – il messaggio veicolato da Akhmet Yassawi, contrapponeva alla coercizione esteriore una via ascetica fondata sulla tolleranza e sul dialogo interreligioso.
La regione centrasiatica, oggi in gran parte occupata dal territorio kazako e non l’Arabia fu, infatti, storicamente la terra d’origine del sufismo turco, il crocevia già allora interetnico e multiculturale che generò il processo di islamizzazione dei turchi, anche di quelli che in seguito si insediarono in Anatolia. Il luogo dove, attraverso un’osmosi sincretistica avvenne quel passaggio di consegne dalle antiche credenze e dai riti turchi preislamici verso l’Islam istituzionalizzato, così come lo conosciamo oggi. Un’esclusività questa che – come abbiamo detto all’inizio – con particolare riferimento al Kazakhstan, costituisce il patrimonio storico-culturale della regione, rappresentando altresì il prodromo del dibattito sul dialogo interconfessionale e sull’armonia interetnica attualmente in corso in questa nazione.
E tornando a Rûmî attraverso i cui versi abbiamo voluto presentare Akhmet Yassawi, egli, nella traduzione del suo Mathnawî ad opera di Gabriel Mandel ancora scrive: «Le vie sono diverse, la meta è unica. Non sai che molte vie conducono a una sola meta? La meta non appartiene né alla miscredenza né alla fede; lì non sussiste contraddizione alcuna. Questo non è “superamento” della religione, ma “rispetto” d’ogni religione – commenta Mandel – e la chiave di volta è il dialogo. Il dialogo ha come scopo la scoperta dei valori comuni e il rispetto dei valori altrui. E ricorda che in Europa, e particolarmente in Italia, Rûmî – a cui noi affiancheremmo Yassawi – è paragonato sovente a san Francesco, poeta mistico, fondatore dei Francescani, il santo più amato dagli italiani. Tre fondatori una grande confraternita nonché grandi poeti mistici, ciascuno nell’ambito della propria cultura.
Ermanno Visintainer