Si conferma una vittoria schiacciante alle elezioni legislative anticipate in Kazakhstan, del partito del presidente Nursultan Nazarbaiev. I primi exit poll hanno assegnato al partito Nur Otan più dell’80% dei voti. Un esito largamente previsto che registra l’ingresso in parlamento di tre partiti: con l’80,74% si conferma presente il partito al potere Nur Otan mentre entrano per la prima volta nel consesso il partito democratico kazako Ak Zhol con il 7,46% e con il 7,2% il partito comunista del Kazakhstan.
Le dinamiche che hanno portato al risultato di queste elezioni legislative anticipate svoltesi ieri nella repubblica ex sovietica centroasiatica, erano già state anticipate dal Nodo di Gordio durante i lavori della tavola rotonda presso l’Ambasciata della Repubblica del Kazakhstan in Italia, lo scorso 6 dicembre 2011, in occasione del ventesimo anniversario dell’indipendenza del Kazakhstan dall’Unione Sovietica.,
In particolare, il prof. Andrea Marcigliano, Senior Fellow del think tank di geopolitica ed economia internazionale, aveva ricordato che “le ragioni di tale successo vanno individuate da un lato nella sintesi fra tradizione e modernizzazione, dall’altro in quella fra leadership forte e democrazia. Una declinazione della leadership e della democrazia tutta “kazaka”, ovvero comprensibile davvero solo nel solco della storia, anzi delle storie di questo, complesso, paese. Dove il leader e il popolo vanno comunque ricondotti a tradizioni ed origini molto diverse da quelle cui siamo usi in occidente, che però sono state interpretate dal Presidente Nazarbayev e dalle nuove élite kazake – politiche, economiche e culturali – in una chiave non solo perfettamente compatibile con la “modernità occidentale”, ma anche estremamente interessante per farci comprendere alcuni errori – e molte storture – che sono stati commessi nell’esportare quel “nostro modello” che, troppo frettolosamente, abbiamo pensato, dagli anni ’90 in poi, essere unico ed universale”.
Abstract degli interventi del think tank “Il Nodo di Gordio”, da parte del prof. Ermanno Visintainer e del prof. Andrea Marcigliano:
Tavola rotonda presso l’Ambasciata della Repubblica del Kazakhstan in Italia
20° Anniversario d’Indipendenza del Kazakhstan e 150° dell’Unità d’Italia
Intervento di Andrea Marcigliano
Dal punto di vista rigorosamente “scientifico” la recente storia del Kazakhstan rappresenta un paradigma di grande interesse. Infatti in questi vent’anni abbiamo assistito ad un esempio tanto di State Building, quanto di moderno Nation Building. E sottolineo il termine “moderno” perché è, certo, vero che il Kazakhstan aveva già precedentemente una sua identità storica e culturale, ma, dopo l’implosione dell’URSS, si è trovato a dover affrontare in primis il problema della costruzione di una nuova identità nazionale. Problema non da poco, visto il mosaico etnico, linguistico, culturale e religioso che lo compone, e che, se non adeguatamente affrontato, avrebbe potuto rallentare o addirittura impedire la costruzione della moderna Repubblica del Kazakhstan, risucchiandola in quella spirale di conflitti civili che ha travagliato, e in parte ancora travaglia, altri paesi della regione centro-asiatica. E, invece, il Kazakhstan non solo è uscito indenne dalla fase di maggior travaglio successiva all’indipendenza, ma ha, anche, dato inizio ad una, lunga, stagione di crescita industriale ed economica, tanto che, secondo gli indicatori del FMI, appare destinato a diventare, nel prossimo ventennio, una dei paesi con il più alto reddito pro capite al mondo. Crescita economica cui ha corrisposto, per altro, una notevolissima crescita anche culturale e civile, con l’elergere ed il progressivo consolidarsi di nuove élite che hanno progressivamente assunto, a tutti i livelli, la guida del paese.
Questo è stato reso possibile grazie ad un intelligente processo di costruzione parallelo dell’identità nazionale e della struttura statuale della Repubblica; processo in certo qual modo sintetizzato in quella che si può definire la “dottrina Nazarbayev”, fondata sul principio della “tolleranza” ovvero della coesistenza di diversità d’ogni genere che, invece che impedire la costruzione di un’identità nazionale, finiscono per cooperarvi, trasformandosi da potenziali cause di conflitti in elementi che tale identità armonicamente compongono ed arricchiscono.
Un processo, certo, ancora in corso, ma del quale possiamo, a due decenni dall’indipendenza, già apprezzare pienamente i risultati. E cercare di comprendere, soprattutto, le ragioni di tale successo. Che, a mio avviso, vanno individuate da un lato nella sintesi fra tradizione e modernizzazione, dall’altro in quella fra leadership forte e democrazia. Una declinazione della leadership e della democrazia tutta “kazaka”, ovvero comprensibile davvero solo nel solco della storia, anzi delle storie di questo, complesso, paese. Dove il leader e il popolo vanno comunque ricondotti a tradizioni ed origini molto diverse da quelle cui siamo usi in occidente, che però sono state interpretate dal Presidente Nazarbayev e dalle nuove élite kazake – politiche, economiche e culturali – in una chiave non solo perfettamente compatibile con la “modernità occidentale”, ma anche estremamente interessante per farci comprendere alcuni errori – e molte storture – che sono stati commessi nell’esportare quel “nostro modello” che, troppo frettolosamente, abbiamo pensato, dagli anni ’90 in poi, essere unico ed universale. Modello astratto che, dove importato, si potrebbe dire “per amore o per forza”, si è rivelato per lo più fallimentare. E questo senza dover guardare al caso limite dell’Afghanistan o ai problemi in cui versa l’Iraq; basta il riferimento ad altre realtà dell’Asia Centrale ex-sovietica – quindi limitrofe a quella kazaka e per molti versi non dissimili da questa – per poter apprezzare quella che non è errato chiamare, appunto, l’eccezione kazaka. Il Kirghizistan e l’Uzbekistan,ad esempio, presentavano, all’atto dell’indipendenza, un quadro d’insieme forse meno complesso – per lo meno dal punto di vista etnico e culturale – dal Kazakistan, nonché similari potenzialità di sviluppo. Eppure, l’applicazione astratta del modello democratico occidentale le ha precipitate per lungo tempo nella pericolosa spirale dei partiti come espressione di gruppi etnici e religiosi diversi, accentuandone la frammentazione e l’instabilità politica interna. E rendendo queste giovani repubbliche terreno di confronto (e scontro) per potentati “estranei”. Soprattutto inibendo e/o ritardando il necessario processo di Nation Building e State Building. Processo che, all’opposto, in Kazakhstan appare molto avanzato, visto che le nuove élite, cui accennavamo, non rappresentano più frammenti del mosaico etnico, linguistico e religioso, ma al contrario sono – e, cosa forse ancor più importante, “si sentonkio” – semplicemente ed esclusivamente kazake. Ovvero parte ed espressione di una ben precisa identità nazionale. Complessa, certo, e multiforme. Ma sicuramente “unitaria”.
Infine, è interessante cogliere questa occasione per cercare di stabilire un parallelismo – azzardato, certo, ma non peregrino – fra il ventennale dell’indipendenza kazaka e il nostro 150° dell’unità d’Italia. Interessante perché anche la nostra è stata un’unità “difficile” e per molti versi lo è ancora. Anche la nostra nazione ha, in fondo, un’identità “complessa”, anche se non, certo, un mosaico paragonabile a quello kazako. Diverse, naturalmente, diversissime le situazioni… tuttavia dall’incontro e, soprattutto dal confronto si possono trarre osservazioni molto utili. Utili per entrambi, per il “giovane Kazakhstan – giovane, ma dal cuore antico – e per l’Italia che, tutto sommato, come realtà nazionale e statale tanto “vecchia” non è neppure lei. E che, sotto molti punti di vista, ha ancora in corso il suo lungo, e sovente faticoso, processo di Nation Building e State Building. Quei processi che il Kazakhstan – giovane Repubblica dal cuore antico – sta ponendo in essere con una intelligenza ed una efficacia che meritano d’essere giustamente apprezzate e studiate. Soprattutto senza ottusi pregiudizi e scevri da quel senso di superiorità del “modello occidentale di democrazia” che, come ha scritto Amartya Sen, non essendo né esclusivo, né universale, non ci deve spingere a sottovalutare o peggio disprezzare altre esperienze. O, più esattamente, quelle che possiamo definire con il Nobel per l’Economia, le vie “altre” verso la democrazia.
Intervento di Ermanno Visintainer
Quest’anno ricorre simultaneo il ventesimo anniversario dell’unità dei nostri due Paesi. Una ricorrenza altamente emblematica e significativa per entrambi.
Per l’Italia, il 17 Marzo 1861, allorché il Primo Parlamento Nazionale proclamò a Torino, Vittorio Emanuele II, Re d’un’Italia, libera dal giogo di potenze straniere. E il 16 dicembre 1991, la data dell’indipendenza del Kazakhstan dall’URSS. Un avvenimento che sancisce la fine di un’era e l’inizio di un processo di rimodulazione delle risorse intellettuali all’interno del Paese parallelo ad una modernizzazione avveniristica. Elementi che pongono le fondamenta concettuali e pratiche del successo dell’attuale politica, sia interna che estera, del Paese.
È evidente che entrambi gli avvenimenti possiedono un significato molteplice e pluridimensionale per i due Paesi, le cui implicazioni sono veramente di proporzione epocale. Ma altresì sorprendente è la fortuita coincidenza che li unisce nei festeggiamenti.
Due date fatidiche, giunte a compimento attraverso un processo storico e metastorico millenario. Una continuità che procede da Roma antica, umanesimo, rinascimento fino all’epoca moderna per l’Italia e da Kül Tegin fino all’attuale Presidente Nursultan Nazarbayev per il Kazakhstan.
Una sorta di nemesi storica per questo Paese che aveva smarrito la sua Indipendenza fin dall’inizio del giogo dzungaro avvicendandosi nella fase della dominazione russa e quindi sovietica.
Un destino che si doveva realizzare in qualche parte dell’Eurasia o dell’Asia Centrale, e che si è concretizzato in questo luogo.
Infatti, la storia del Kazakhstan sembra, da questo punto di vista, ispirarsi alle vicende biografiche di questi personaggi: Kül Tegin, Temüjin, Ablai Khan e Nursultan Nazarbayev, che si riassume nel motto: “ciò che non ci spezza ci rende più forti”.
Peraltro nella stele di Kül Tegin (VIII sec.) è scritto:
Täŋgri yarlıqaduqın üçün özüm qutum bar üçün qagan olurtum.
Qagan olurup 10 yoq çıgany budunug qop qubratdım.
Çıgany budunung bay qıldım.
Az budunung öküş qıldım. Azu bu sabımda igid bar gu?
Per volere divino e grazie alla mia stessa gloria divenni Qaghan.
Una volta divenuto Qaghan 10, radunai il popolo affamato e indigente.
Arricchì il popolo che era povero. Resi numeroso il popolo che era scarso.
O forse che nelle mie parole si cela la menzogna?
Il Kazakhstan oggi, nel XXI secolo, alla vigilia del ventennale dal giorno della sua Indipendenza è divenuto un “Paese-Khan”, un Paese leader, una potenza emergente sullo scacchiere internazionale. Un centro di gravità permanente eurasiatico con realistiche prospettive planetarie.
Artefice ne è il suo Presidente Nursultan Nazarbayev e lo spirito di cui è, allo stesso tempo, erede e incarnazione.
E l’Indipendenza, rappresentando la fine di un giogo plurisecolare, per quanto recente nel tempo, riflette nella sua essenza un sentimento, uno spirito presente fino dagli albori della storia del Kazakhstan, un Volksgeist della nazione kazaka, il quale nel corso dei secoli si è metemsomatizzato in determinati personaggi storici impregnati di innato e prorompente carisma. Da Kül Tegin, il condottiero antico-turco che prestò la sua spada per difendere i confini dell’Impero dei Turchi Celesti a Genghis Khan – antenato comune dell’aristocrazia kazaka – grande legislatore, artefice della Pax Mongolica, ricordato in Oriente soprattutto per la sua tolleranza religiosa. E soprattutto l’eroe nazionale Ablai Khan, liberatore del Paese dall’egemonia degli Dzungari, ai tempi dei Khanati. Ablai che, in un duello solitario sulla falsariga di quelli propri agli eroi omerici, uccide Šarïš, parente stretto del principale Khan dzungaro, Galdan Tseren, riscattando la libertà del Paese.
La lotta per la liberazione prosegue qualche secolo dopo con il movimento Alaš, che si proponeva di unificare le popolazioni turcofone suddite dell’Impero zarista, protrattosi in quella sovietica.
E la proclamazione dell’Indipendenza, che oggi commemoriamo svincola il Kazakhstan dalla posizione regionale subordinata che aveva posseduto fino allora, che lo coartava nelle maglie di ferro della dipendenza da un altro Paese e che lo soffocava nella sua stessa posizione geopolitica, proiettandolo automaticamente sugli scenari eurasiatici.
Epicentro della regione-perno o Heartland, corrispondente all’area della civilizzazione turanica, secondo la terminologia mackinderiana, il Kazakhstan è un’area geografica che costituisce il centro del super- continente Eurasiatico e conseguentemente del mondo intero.
È evidente che il ruolo di Nazarbayev in questa delicata fase di transizione è stato unico ed insostituibile e soprattutto intriso di tappe e di significati simbolici.
L’accostamento della funzione svolta da Nazarbayev nel conseguimento dell’Indipendenza del Paese dalla dominazione sovietica, con quella esercitata da Ablai Khan nei confronti dell’indipendenza dalla dominazione dzungara è spontaneo ed immediato.
Pochi giorni prima di questa data, Nazarbayev è stato eletto a suffragio universale Presidente della nuova repubblica. Nel 1992 è stata adottata la nuova bandiera nazionale e il Kazakhstan è divenuto membro delle Nazioni Unite. Nel 1994 si sono svolte le elezioni legislative, vinte dal Partito d’Unità Nazionale del presidente in carica. Quindi l’anno successivo è stata approvata la Costituzione.
In effetti, un riscontro della popolarità che il Presidente ha sempre avuto evidentemente nell’inconscio collettivo dei kazaki è la vittoria dalle dimensioni quasi plebiscitarie (91,15%), conseguita alle elezioni presidenziali del 4 dicembre 2005.
Replicata sei anni dopo, il 3 aprile 2011, allorché in seguito al rifiuto della proposta, avanzata al parlamento di Astana, di indire un referendum per estendere i termini del suo mandato presidenziale sino al 2020, Nazarbayev rigettò l’offerta di una “Presidenza a vita” preferendo la scelta – definita dallo stesso Nazarbayev: “una storica lezione di democrazia” – di sottomettersi al giudizio del corpo elettorale un mese più tardi.
Aleksander Dugin, il Leader del movimento eurasista russo, in un libro del 2004, Еvrazijskaja Missija Nursultana Nazarbaeva, (La Missione eurasiatica di Nursultan Nazarbaev), dà di Nazarbayev la seguente definizione:
un “archetipo, un coagulo di forze storiche, lo spirito della Grande Steppa, manifestatosi alla guida di una nazione affascinante, giovane ed in rapido sviluppo”[1].
Significativo e profetico il capitolo in cui rilascia la seguente dichiarazione:
Nursultan Nazarbayev è una delle figure politiche più importanti a livello internazionale. Egli ha trasceso la dimensione locale. Prevedo per lui un grande futuro. L’architettura di quest’idea eurasiatica da lui suggerita, possiede tutte le chance per essere adottata in Occidente, in Russia ed anche in Asia. La missione di Nazarbayev è planetaria.
Sempre nella prospettiva di transitività fra tradizionalismo e futurismo, accennata all’inizio, non possiamo prescindere da uno sguardo panoramico e sinottico sulle vicissitudini del Kazakhstan negli anni della sua Indipendenza.
Infatti, a partire da quel giorno, quasi a voler sancire questo debutto nella nuova era sugli scenari internazionali, il Kazakhstan ha voluto compiere un gesto altamente simbolico rivolto al rafforzamento della pace e della sicurezza globale, chiudendo il sito adibito ai test nucleari di Semipalatinsk con la conseguente rinuncia al quarto maggiore arsenale nucleare e missilistico esistente al mondo.
Un gesto apprezzato dall’elettorato che ha riconfermato il suo mandato in maniera ancor maggiormente unanime.
Il 2010 ha permesso a questo Paese rappresentativo dell’intera regione centrasiatica, nonché crocevia nevralgico fra l’Est e l’Ovest del mondo, di compiere un determinante balzo in avanti dai risvolti fortemente emblematici nei confronti degli equilibri internazionali, è stato l’assunzione della presidenza di turno dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), principale organismo internazionale per la difesa di diritti umani.
Il Kazakhstan ha acquisito in tal modo un altro primato essenziale: quello di essere stata la prima fra le ex repubbliche sovietiche ad assumere il ruolo di guida alla testa delle 56 nazioni rappresentate dall’OSCE, nonché simultaneamente, di essere altresì la prima in cui la fede dominante è quella islamica.
Una scelta fortemente simbolica che intende premiare le politiche linguistiche e religiose intraprese dal paese, di per sé caratterizzato da una compagine plurietnica assai complessa, che promuovono il multilinguismo e il multiconfessionalismo finalizzato a rafforzare l’unità nazionale.
Un’ulteriore fase di protagonismo del Kazakhstan riguarda l’Unione Eurasiatica che a partire del I gennaio 2012, inizierà la fase operativa dello Spazio economico comune.
Per concludere, dal momento che talvolta si parla di prevaricazione del parlamentarismo sul presidenzialismo e viceversa, in merito ad eventuali confronti o parallelismi fra i nostri due Paesi, non può mancare un accenno all’improvvisa evoluzione subita in queste settimane dalla politica italiana, il cui effetto è stato la sospensione della democrazia. Una sospensione che la dice lunga su chi possa essere sentirsi autorizzato pronunziare sentenze ex cathedra. Una sospensione che ci porta ad essere in balìa di forze nei confronti delle quali non riusciamo più ad esercitare alcuna azione preventiva né alcun controllo.