Il Kazakistan, svincolato dall’Urss, ha potuto sfruttare le sue vaste risorse naturali
DI ANDREA MARCIGLIANO
Grandi manovre (politiche) in Eurasia. Si sono appena chiuse le elezioni legislative a Mosca, che anche il vicino Kazakistan annunzia prossime – il 15 gennaio – per il rinnovo del Parlamento. Elezioni anticipate, ché la scadenza regolare sarebbe nel prossimo agosto, ma i deputati hanno preferito optare per un auto-scioglimento anticipato. Un’esigenza certo non dettata da problemi di instabilità politica, visto che il vastissimo Paese centro-asiatico – anche se, più correttamente, si dovrebbe definirlo eurasiatico, rappresentando di fatto il confine fra i due continenti – gode da vent’anni, ovvero dalla data dell’indipendenza dall’Urss, di una invidiabile stabilità politica. Invidiata soprattutto dalle limitrofe repubbliche ex-sovietiche centro-asiatiche e caucasiche, che, in questi due decenni, hanno per lo più conosciuto instabilità, rivolgimenti, rivoluzioni… e sovente sfiorato la guerra civile. Il Kazakistan, invece, ha cominciato una lunga stagione di crescita, che lo ha portato a essere, oggi, un Paese con un alto tasso di sviluppo, dovuto in buona sostanza al fatto che, finita l’era della subalternità a Mosca, ha potuto finalmente sfruttare direttamente le proprie immense ricchezze naturali, avviando un processo di industrializzazione che ha cominciato ad attrarre investitori e imprese estere. Al punto che oggi la Repubblica del Kazakistan è considerata, nelle sedi finanziarie internazionali, non solo un Paese sopra il livello medio di sviluppo, ma addirittura in procinto, nei prossimi anni, di venire classificato altamente sviluppato. Anzi, recentemente, l’agenzia britannica Ernst&Youngh – una delle principali società di auditing a livello mondiale – ha pubblicato uno studio in cui dimostra come l’antica “Terra dei Cavalieri” (i cosacchi) potrebbe, nei prossimi cinque anni, essere una delle tre prime economie mondiali per crescita del Pil annuo, e il suo responsabile per i mercati emergenti, Aleksei Karklin-Marche, l’ha definita una realtà estremamente interessante e affidabile per gli investitori esteri. Investimenti, per altro, già abbondanti, anche da parte italiana, visto la politica di ottime relazioni bilaterali fra Roma e Astana, che poco più di due anni fa ha visto una nutrita schiera di imprenditori italiani recarsi nella capitale kazaka guidati dall’allora viceministro per il Commercio con l’Estero Adolfo Urso, e stringere importanti contratti di cooperazione.
Un mosaico di popoli e fedi
La stabilità politica del Paese ha il volto e il nome del presidente Nursultan Nazarbayev. Figlio di un pastore, operaio in fabbrica, nell’ultimo scorcio dell’era sovietica Nazarbayev ha rapidamente scalato le gerarchie locali del Partito comunista, guidando poi il Paese verso l’indipendenza. Fino a qui una storia simile, per molti versi, ad altre delle Repubbliche sorte dalle ceneri dell’Urss. Diversa, però, è stata la politica di Nazarbayev una volta alla guida del Kazakistan. Una politica incentrata da un lato su un’intelligente distribuzione della ricchezza – che ha portato a un costante miglioramento delle condizioni di vita di tutti i cittadini – dall’altro su un’idea (vincente) di tolleranza, coesistenza e cooperazione fra i diversi gruppi etnici e religiosi. Infatti il Kazakistan è un mosaico composto da più di 140 etnie che professano circa trenta diverse fedi… insomma, c’erano tutti i presupposti perché, senza il pugno di ferro moscovita, il Paese precipitasse nei conflitti intestini e finisse con il disgregarsi. Se così non è stato è dovuto a Nazarbayev, che da due decenni riveste ininterrottamente il ruolo di leader, con un consenso a dir poco plebiscitario.
L’attività diplomatica
Ma proprio questo consenso stava rischiando, negli ultimi tempi, di finire con il danneggiare l’immagine del governo kazako e del suo leader, soprattutto nelle sedi internazionali. Dove, per altro, il Kazakistan sta svolgendo un’intensa attività diplomatica, e non solo perché nel 2010 ha rivestito la presidenza dell’Osce. Quella, semmai, è stata la ciliegina sulla torta; altrettanto importante, però, è stata la cooperazione, negli anni precedenti, con la Nato per mettere in sicurezza l’Asia centrale dalla minaccia di un dilagare del conflitto afghano. Minaccia pur sempre incombente, visto che, di recente, lo stesso territorio kazako è stato oggetto di attacchi terroristici e di (marginali) manifestazioni fomentate da gruppi di islamici fondamentalisti provenienti per lo più dalla frontiera dell’Uzbekistan, dove è molto attivo l’Imu (Movimento islamico dell’Uzbekistan) strettamente legato ai Talebani. Per altro il Kazakistan è oggi, con la Russia, il principale promotore della nuova Unione Eurasiatica, che promette di divenire, con l’adesione della Bielorussia, delle altre repubbliche centro-asiatiche e, in prospettiva, dell’Ucraina, la nuova realtà emergente a livello globale sia sotto il profilo economico, sia sotto quello geopolitico. Di qui la necessità di procedere al rinnovo del Parlamento, per aprirlo a un multipartitismo fino a ora sostanzialmente assente.
Ad Astana arrivano le “opposizioni”
In effetti la Costituzione kazaka garantisce da sempre la libera partecipazione dei partiti alle elezioni. Tuttavia in precedenza la leadership carismatica di Nazarbayev, lo sbarramento elettorale al 7%, nonché la frammentazione su basi etniche delle opposizioni, ha fatto sì che l’unica forza presente al parlamento fosse il partito del presidente, il Nur Otan. Questo però era divenuto, ormai, un ostacolo, più che un vantaggio per la leadership di Astana, la capitale che, motore di un vorticoso sviluppo, sembra ogni giorno di più assomigliare a una “Manhattan della steppa”. Dunque, urgeva, anzi urge per il Kazakistan dare all’esterno un’immagine meno monolitica e, in sostanza, più comprensibile ai partner occidentali – dagli Stati Uniti all’Unione europea – con le loro idee standard sulla democrazia e i suoi modelli. E, un po’ come è successo a Mosca, anche ad Astana si prevede una prossima fine del monolitismo parlamentare. Tutti gli indicatori, infatti, prevedono che Nur Otan manterrà una salda maggioranza, ma che saranno presenti nel prossimo Parlamento, anche due consistenti forze d’opposizione: “Rukhanijat” di indirizzo nazionalista e “Ak zohl” che raggruppa la nuova borghesia imprenditoriale. Nessuna speranza, invece, per i partiti etnici e religiosi, nonché per i socialdemocratici di “Azat”.
L’El Dorado della steppa
Due opposizioni che non rappresentano in prospettiva una minaccia di instabilità. Anzi, per molti versi sono perfettamente compatibili con l’indirizzo della politica di Nazarbayev, fortemente radicata nell’orgoglio per l’identità nazionale,e al contempo aperta a forme di libertà economica ed imprenditoriale. Due opposizioni che anzi daranno ad Astana la possibilità di presentarsi in tutte le sedi internazionali come una democrazia a tutti gli effetti compiuta. Certo, una democrazia con una presidenza davvero molto forte. Comunque, è interessante notare come queste “aperture” elettorali – quella russa nei giorni scorsi, questa kazaka nell’immediato futuro – coincidano con il primo varo della Comunità economica (o Unione) eurasiatica. Quasi a voler rassicurare i partner europei. Una rassicurazione che, indubbiamente farà piacere a molti e incontrerà molti consensi. Anche perché – per dirla ancora con Aleksei Karklin-Marche – «il Kazakhstan è un vero El Dorado sotto tutti i punti di vista. E, quindi, una grande occasione da non dissipare con superficialità».
apparso su: Secolo d’Italia 24/12/2011