Andrea Marcigliano (*)
La Turchia sta, da tempo, ridefinendo il proprio ruolo strategico nel Mediterraneo. Una svolta che, in nuce, è cominciata subito dopo il crollo del Muro di Berlino, quando è venuta a cadere la necessità che faceva di Ankara il baluardo della NATO posto a difesa del passaggio attraverso gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli da un lato, e dall’altro la prima linea atta a contrastare eventuali aggressioni via terra provenienti dal Caucaso. Un ruolo assolto per decenni dalle Forze Armate turche, spesso considerate, non a torto, come la terza o addirittura la seconda forza — per armamento convenzionale — della NATO; un ruolo che a lungo ha reso Ankara uno degli alleati strategicamente più importanti per Washington e per le principali Cancellerie d’Europa. Con l’implosione del blocco sovietico, però, le cose sono andate inevitabilmente mutando in modo radicale. Venuta a cadere la preoccupazione per il rischio di uno scontro diretto con Mosca, la Casa Bianca ha, progressivamente, spostato la sua attenzione su teatri diversi dal Mediterraneo, nello specifico l’area dell’Oceano Pacifico e di quello Indiano dove si affacciano le potenze emergenti del nuovo millennio, e in particolare il colosso cinese, destinato, secondo le previsioni degli analisti statunitensi, a divenire nei prossimi decenni il principale competitor geopolitico — e quindi anche militare — oltre che geo-economico degli Stati Uniti. […continua su “La Rivista Marittima” – mensile ufficiale della Marina Militare Italiana]
(*) Saggista e scrittore. Interessi di studio: geopolitica, geoeconomia, filosofia politica, letteratura. Senior Fellow del think tank Il Nodo di Gordio