Nessun altro paese al mondo è tanto presente su così numerosi scenari sensibili del globo. Il vantaggio di tale situazione è evidente: ridurre le perdite in uno di questi attraverso l’acquisizione di rendite in un altro. Nel corso dei secoli la Russia ha approfittato in pieno di questa particolare situazione geografica: secondo il contesto storico, ha deciso di investire o in Occidente o in Oriente.
Per la Russia dei giorni nostri, la questione di una scelta tra Est e Ovest si pone in una prospettiva nuova. Per lo meno le condizioni per una scelta sono inedite. Per approfondire tale questione, i diplomatici si interrogherebbero sull’approccio della classe dirigente russa verso i partner all’estero. In questo caso, trattandosi di un dibattito geo-strategico, la lente d’ingrandimento sarà posta sullo scacchiere (la carta geografica), le pedine di cui dispone il giocatore russo e il modo in cui questo le muove.
Gli inquilini del Cremlino devono fare i conti con alcuni obblighi strategici inderogabili.
Primo fra tutti, le risorse in materie prime. Gli idrocarburi alimentano circa il 50% delle finanze pubbliche di Mosca. Il petrolio rappresenta il 54% delle esportazioni russe totali mentre il gas il 12,3% (2012). Le esigenze di modernizzazione del sistema economico russo così come il bisogno di mantenere il più possibile in equilibrio la bilancia commerciale impongono al Cremlino (con o senza Putin) una protezione accanita del settore degli idrocarburi e delle materie prime (acciaio, alluminio) (1).
In secondo luogo, è fondamentale per Mosca la messa in sicurezza del processo di esportazione delle materie prime. La Siberia garantisce rispettivamente il 65% e il 90% della produzione di petrolio e di gas. Negli anni ’80 il governo sovietico scelse l’Europa come destinazione prioritaria per la fornitura di tali (preziosi) idrocarburi: la Cina e i paesi del Golfo erano considerati non abbastanza sviluppati. Da allora, il gas passa quasi interamente attraverso l’Ucraina, mentre l’oleodotto Droujba arriva in Europa via Bielorussia, ancora Ucraina e i porti del Mar Nero. Il problema, per Mosca, si presentò nel 1991 con l’indipendenza delle varie repubbliche, comprese Bielorussia e Ucraina, appartenenti fino ad allora all’URSS. La Russia cominciò a pagare infatti dei dazi di transito (due miliardi di dollari ogni anno per il petrolio) a paesi terzi: le relazioni diplomatiche con questi ultimi si sono rapidamente deteriorate così come sono cresciuti in maniera esponenziale episodi di corruzione, ricatti, accordi bilaterali opachi.
Nel 1999 lo schema subisce alcuni scossoni. Alcuni eventi decisivi imprimono un cambiamento di rotta alla strategia russa. A partire dal 1999 infatti alcuni paesi ex-sovietici, comprese le repubbliche baltiche (nel 2004) e i loro porti così importanti per il commercio russo, entrano a far parte della NATO. Nello stesso anno l’Alleanza Atlantica bombarda la Serbia di Milosevic. In Russia s’insinua un clima di ostilità verso l’Ovest che non si era più visto dai momenti più accesi della Guerra Fredda. A Mosca ci si sente traditi dai paesi ex-satelliti. Il tema della restaurazione della potenza sovietica torna forte nelle maggiori città. La vittoria di Putin del 2000 pone le sue fondamenta sulla voglia russa di ritornare protagonista globale. La collaborazione Unione Europea-Russia rallenta in maniera decisa e gli scambi economici intrapresi dagli anni ’80 vedono una netta diminuzione. Gli accordi per la creazione di una vasta zona di libero scambio intavolati nel 1994 sono pian piano messi da parte. Nel 2009 nell’UE numerosi paesi (tra i quali gli ex-alleati dell’URSS) lanciano l’idea di un partenariato UE-Paesi orientali ex-sovietici… esclusa la Russia. Dal Cremlino si accusa l’Europa di assecondare la russofobia di alcuni paesi e federare i popoli europei attorno ad un nemico comune, in questo caso la Russia (2).
In ogni caso, il 1999 è un anno cerniera nella strategia di politica estera dei governi russi: le due linee direttrici di questo cambiamento sono:
– ripresa del controllo (più o meno diretto) delle comunicazioni commerciali con l’ovest;
– avvicinamento all’est, in particolare verso la Cina.
Vladimir Putin decide dunque di mettere fine al diktat baltico. Innanzitutto vara la costruzione di un nuovo oleodotto la cui destinazione sono due porti, interamente russi, a nord di San Pietroburgo. Un secondo oleodotto è entrato in funzione nel 2012 e porta a Oustlouga, vicino alla Finlandia, 50 milioni di tonnellate di petrolio. Nel 2013 i porti russi sul versante “Europeo” hanno trattato 207 milioni tonnellate di petrolio: l’indotto e i benefici annessi (per la prima volta nella storia russa) restano totalmente sul territorio russo. La dipendenza verso Bielorussia, Ucraina e Paesi baltici si è drasticamente ridotta, anche se resta visibile. Il transito sul Mar Nero è tuttavia bloccato dalla saturazione che colpisce il trasporto sul Bosforo. I progetti di costruzione di oleodotti alternativi al passaggio sul Bosforo sono in fase di discussione: il governo bulgaro ha bloccato l’accordo per l’edificazione di una pipeline tra Bourgas et Alexandropoulis (Grecia), mentre l’ENI attende da qualche anno ormai il via libera della pipeline che dovrebbe toccare la Turchia e la Grecia per poi risalire verso l’Adriatico.
Anche per quanto riguarda l’approvvigionamento di gas, il Cremlino ha lanciato una serie di investimenti colossali per permettere alla Russia di fornire i clienti europei riducendo allo stesso tempo il potere di negoziazione di paesi come Ucraina e Bielorussia. Gazprom ha finalizzato nel 2005 un accordo con un conglomerato industriale tedesco per la costruzione di un gasdotto sottomarino per il trasporto di 55 miliardi di metri cubi di gas (North Stream). South Stream è invece la denominazione del gasdotto meridionale la cui costruzione è iniziata nel 2012 e che porterà in Europa 63 miliardi di metri cubi di gas/annui a partire dal 2015. La sempre maggiore autonomia di Mosca verso gli ex-satelliti sovietici permette al Cremlino di risparmiare miliardi di dollari in dazi e diritti di transito. Da un punto di vista commerciale l’establishment moscovita conta proseguire sulla strada dei rapporti bilaterali con paesi storicamente amici (Germania, Italia, Francia) mentre si allontana sempre più dai palazzi di Bruxelles (3).
È tuttavia verso l’Asia orientale che la Russia intende ora spostare le sue mire: tali tendenze si riconoscono guardando la carta geografia già a partire dal 2007.
Nel 2012 i porti russi sul Pacifico hanno trattato 56 milioni di tonnellate di petrolio (253 sul versante europeo nello stesso anno): un volume ancora insufficiente secondo gli strateghi dell’Oro nero. Il governo ha dunque deciso di migliorare le infrastrutture in Oriente. Tra 2006 e 2012 è stato costituito un nuovo oleodotto (VSTO) in partenza dal lago Baikal al Pacifico così come è in fase di realizzazione un porto petrolifero a nord di Vladivostock. Il bacino petrolifero di Vankor, che fino al 2008 costituiva il punto di partenza per il trasporto di idrocarburi verso ovest, è stato agganciato a VSTO e alimenta ora i tracciati verso la Cina e i paesi est-asiatici. Nel 2010 è entrato in funzione il primo stabilimento GNL (gas naturale liquefatto) a Sakhalin: la produzione non è impressionante (13 miliardi di metri cubi) ma è l’ennesima conferma della volontà russa di ri-orientare il proprio arsenale di materie prime ad Oriente. Vladimir Putin conosce molto tempo il tema: il compratore e l’acquirente sono legati, per quanto riguarda l’approvvigionamento, ad uno specifico gasdotto. Ergo, la Russia ha bisogno di incrementare la propria offerta: evitare che l’acquirente passi per altri gasdotti. Tale meccanismo è primordiale per restare competitivi su un mercato aggressivo come quello del gas (4).
La rivoluzione americana nel campo del gas di scisto (shale gas) ha costretto Mosca a rivedere i suoi piani. Lo sfruttamento dei giacimenti nel Mar Baltico è stato per il momento messo da parte così come la costruzione a Mourmansk di uno stabilimento di GNL. La priorità diventa quindi la vendita sui mercati orientali dove il prezzo del gas è doppio o triplo rispetto all’Europa e agli Stati Uniti. In quest’ottica è stato lanciato un progetto congiunto sino-russo per l’edificazione di un centro GNL sulla penisola di Jamal: l’attività del centro dovrebbe iniziare nel 2016 anche se non sono ancora conosciuti i volumi di produzione. Ciò che più conta è che il 10 dicembre 2012, per la prima volta nella storia, è stato sperimentata la rotta polare verso est: un metaniere gigante ha trasportato un carico di GNL dalla regione del Mare di Barents al Giappone. La questione è di sapere se tali operazioni sono possibili sul lungo termine: per riuscire in tale impresa Mosca ha dovuto fare appello a due rompighiaccio nucleari. Soprattutto, il mare polare è impraticabile per 4-5 mesi all’anno. Gazprom e Rosnef hanno previsto la costruzione di nuovi stabilimenti sul Pacifico e una serie di gasdotti provenienti dalla Siberia Orientale. Sono tutti segnali che indicano la decisione russa di spostarsi ad est: ragioni economiche e politiche impongono tale cambiamento (5).
Gli investimenti faraonici (20 miliardi di dollari) effettuati nell’area di Vladivostock hanno costituto lo sfondo per il summit dell’APEC tenutosi nel porto russo nel 2012 (6). L’aumento del costo delle materie prime in paesi come Cina, Giappone, Corea, Vietnam supportano la strategia russa. L’altipiano dell’Aldan, non lontano dalla Siberia, sta diventando un bacino carbonifero e minerale rilevante per quanto riguarda la domanda cinese. Sempre in Siberia orientale, in particolare nella città di Angarsk, vedrà la luce uno dei maggiori centri russi di arricchimento dell’uranio e, di conseguenza, di combustile nucleare: la Russia è uno dei venditori più importanti di combustile nucleare. Dal 2020 il centro spaziale di Vostochny, sotto-utilizzato per circa 30 anni, ospiterà nuovamente i voli spaziali di peso. Di fronte alle ambizioni spaziali cinesi, coreane e giapponesi avere una base ad est non è per nulla trascurabile. Soukhoi, nell’estremo est russo, sarà il punto di riferimento dell’aviazione civile russa: dal 1990 la progettazione russa di aerei da trasporto passeggeri è inesistente. L’ambizione è quella di rivaleggiare con Airbus. Un’ambizione che in epoca sovietica era localizzata nel sud-ovest del Paese e che oggi si sposta non lontano dal confine cinese. Non è finita. Le vie di comunicazione sono in via di (ri)strutturazione. Un’autostrada è in fase di realizzazione sull’asse transiberiano mentre i porti russi, anche grazie al contributo di ingenti fondi privati, stanno per essere ingranditi e modernizzati. Il corridoio eurasiatico che dalla Norvegia dovrebbe passare per Kazakistan e Cina non ha finora incontrato il favore russo.
La creazione di partenariati tecnologici è un’altra priorità dell’establishment russo. Il progetto di arricchimento dell’uranio e di combustile nucleare è portato avanti con l’apporto del Kazakistan. Il paese centro-asiatico partecipa anche alle ricerche in campo spaziale, come per esempio il lanciatore spaziale Angara concepito a Baikonur. La Russia ha trovato nell’India un partner strategico di enorme rilievo: la Russia fornisce a Nuova Delhi installazioni militari, compresi sottomarini nucleari e insieme sono membri esclusivi (con USA e Cina) del club che possiede l’ultimo modello di aereo da guerra T50 (7). L’India, dal canto suo, fornisce a Mosca preziose informazioni su missili di ultima generazione, come per esempio, il missile supersonico terra-aria Brahmos.
La rottura del processo di avvicinamento all’UE sancito dalla fine dei negoziati per una partnership strutturata nel 2007 ha prodotto nel Cremlino un sentimento di esclusione, di rigetto da parte dell’Europa. In quest’ottica si inserisce l’unione doganale con la Bielorussia e il Kazakistan (8). Sul versante europeo si tende ancora a vedere in Mosca una minaccia. L’ex presidente e Primo Ministro Medvedev ha affermato nel 2008 che la Russia difende i suoi interessi geopolitici più vicini ma non ha mire esterne: è su questo malinteso di fondo che si inserisce e si inasprisce il dibattito attorno al “caso Ucraino”: la reciproca ambizione russa ed europea di integrare Kiev nella propria sfera economica di libero mercato cozza con la realtà della geografia. L’Ucraina è condannata a collaborare con Russia e UE senza poter scegliere, in maniera definitiva, dove posizionarsi.
In definitiva la Russia approfitta di una posizione multi-angolare per inserirsi nel gioco delle grandi potenze. Le valutazioni sul caso siriano sono in questo senso eloquenti. La Siria non è un partner cruciale per Mosca. Analizzando la posizione geografica siriana scopriremo le ragioni, puramente geopolitiche, del supporto diplomatico russo ad una stabilità dell’area. La novità, i cui effetti sono tutti da approfondire, sta piuttosto nel fatto che per la prima volta la Russia rinuncia ad influenzare direttamente i suoi vicini (paesi baltici, Ucraina, Georgia) e si appoggia su considerazioni di potenzialità economiche strettamente nazionali. La sfida per Mosca è proprio questa: coniugare nel modo più efficace possibile una strategia innovativa in campo geopolitico a uno scomodo passato.
Dal nostro corrispondente in Francia
Andrea Susella
(1) La documentation Française, “Le partenariat energetique: un succès”
(2) Géoéconomie, N°43, 2007, Serguei Yastrjemski Rappresentante del Governo russo presso l’UE, Mark Entin, Direttore dell’Istituto Europeo di Mosca
(3) Affaires Strategiques, “Des rélations UE – Russie irréconciliables?, giugno 2013
(4) Questions Internationales, N°57: “La Russie face au dèfi du XXIème siècle”
(5) Diplomatie, “ La Russie face à se dèfis”
(6) Il 20emo summit dell’APEC (Cooperazione Economica Asia-Pacifico) del settembre 2012 ha visto in particolare il lancio di nuove, più strette, relazioni politiche tra la Russia e i paesi asiatici del Pacifico e le basi per accordi commerciali di centinaia di milioni di euro
(7) Air & Cosmos, settembre 2012, Project Luna Resources
(8) The Journal of Turkish Weekly, settembre 2009