Quello tra l’Italia e la Turchia è uno degli assi strategici più complicati della contemporaneità. Sull’effettivo successo di questo matrimonio forzato, limitato nel tempo ma esteso nello spazio, gravano come dei macigni alcune incognite, dal fattore della ricorrenza storica alla forma mentis innatamente imperiale e prevaricante della Sublime Porta, ma le circostanze attuali richiedono alla classe dirigente nostrana il massimo sforzo possibile.
I perché alla base della necessità di un sodalizio italo-turco, che sia salubre e multiforme, sono molteplici: l’Italia è il sesto partner commerciale della Turchia, nonché il primo investitore straniero in loco, essa sola può separarci oppure unirci all’Azerbaigian,connettendoci al o deconnettendoci dal Gasdotto Transanatolico (Tanap), ed essa sola può rallentare (o accelerare) il nostro declino da attore storico a metternichiana espressione geografica. Perché questa è l’epoca della competizione tra grandi potenze e l’Italia, entrata più per obbligo che per scelta, è priva di ognuno degli elementi necessari ed essenziali ad affrontare tale confronto egemonico a più polarità: forma mentis, weltanschauung, stabilità politica, continuità nel teatro estero, dote alchemica (ovvero la capacità di capitalizzare geopoliticamente l’influenza economica) e, soprattutto, lungimiranza ed impavidità. Suddette mancanze, che il progredire della Guerra Fredda 2.0 e l’albeggiare del multipolarismo rendono persino più “staticide”, obbligano Roma ad accettare la realtà del bivio cui si trova di fronte: condivisione di spazio vitale ed utili con Ankara, oppure estinzione causa duelli simultanei con Parigi, Mosca, Berlino e Pechino. La storia e il fato hanno voluto che Roma ed Ankara, sin dall’epoca della Serenissima e dell’impero ottomano, vedessero nei Balcani, nell’Africa settentrionale, nel Mediterraneo e nel Caucaso meridionale delle proprie appendici, naturali ed esclusive, sulle quali proiettare potere e influenza. Oggi, rispetto ai secoli passati, poco o nulla è realmente cambiato: italiani e turchi guerreggiano per l’egemonizzazione di Sarajevo e Tirana, competono per il dominio su Tripoli e Mogadiscio, protagonizzano il Mediterraneo, convivono a Baku e serbano l’anelito di inoltrarsi nelle steppe dell’Asia centrale. Oggi, rispetto ai secoli passati, però, ad un antieconomico conflitto, dovrebbe essere preferita l’instaurazione di una collaborazione incardinata sul mutuo rispetto, sul raggiungimento di obiettivi concordati e sul delineamento di linee rosse da non superare. Sul tema dei complessi e inevitabili rapporti tra Roma e Ankara abbiamo discusso con un diretto conoscitore del mondo turco, l’ambasciatore Carlo Marsili. Diplomatico di carriera, Marsili ha alle spalle una lunga carriera che lo ha portato a ricoprire diversi incarichi consolari, a svolgere il ruolo di Consigliere Diplomatico Aggiunto dei Presidenti del Consiglio dei Ministri De Mita, Andreotti, Amato e Ciampi tra gli Anni Ottanta e Novanta, a ricoprire la carica di vice capo-missione a Bonn (1993-1997) e di ambasciatore italiano in Indonesia (1998-1999) prima di una lunga esperienza come titolare della sede di Ankara (2004-2010). Dopo il collocamento a riposo ha pubblicato il volume La Turchia bussa alla porta per la casa editrice dell’Università Bocconi di Milano ed è divenuto membro del think tank “Il Nodo di Gordio”.
Continua a leggere l’intervista di Andrea Muratore ed Emanuele Pietrobon a Carlo Marsili, Senior Fellow del think tank “Il Nodo di Gordio” su Insideover: https://it.insideover.com/politica/i-rapporti-tra-italia-e-turchia-spiegati.html