di Maurizio Stefanini
Ex-ufficiale della Marina Usa, Jeffrey D. “J.D.” Gordon, è stato prima portavoce del Pentagono con George W. Bush e poi consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, oltre che editorialista e commentatore per una quantità di testate: da Fox News a a Sky News passando per Usa Today e Washington Times.
Alla luce di questa esperienza, come spiega il licenziamento di Esper?
“Trump sta dimostrando di essere il capo e punendo coloro che sono sleali”.
Ma come è la situazione della sicurezza? Si sono visti militari in giro in un modo inconsueto per la storia degli Stati Uniti… “La sicurezza va bene. Anche se è vero che c’è una dinamica insolita tra il presidente e il Pentagono. I militari comprendono che la politica presidenziale è al di sopra delle loro responsabilità. Sebbene tutti abbiano un propria opinione, i militari degli Stati Uniti di solito sono capaci di tenersela per sé.”
Lei è stato sia con George W.Bush che con Trump. Tutti e due erano repubblicani, ma una sensazione generale è stata quella di un netto cambiamento della prospettiva tra le due amministrazioni. Dalla esportazione della democrazia a un ripiegamento. I sostenitori di Trump insistono molto sul fatto che “non ha fatto guerre” in modo che può suonare critico verso George W. Bush. Che comunque rispetto alla vittoria annunciata per Biden ha preso una posizione diversa da quella del partito.
“Una delle tante ironie nell’eredità del presidente Trump è che mentre era più a sinistra su aspetti chiave della politica estera e del commercio internazionale rispetto al presidente Obama, la sinistra politica non gli ha dato alcun merito”.
“Più a sinistra” intende che era più riluttante a interventi internazionali e più diffidente verso la globalizzazione dell’economia? Parliamo di sinistra radicale, allora… Comunque, come spiega questa ostilità?
“Si, certo. Trump era anche a sinistra di Obama in termini di pace con la Corea del Nord e del suo tentativo personale di migliorare i rapporti con la Russia. Per quanto riguarda l’estrema sinistra, vogliono ‘trasformare’ l’America come volevano le Brigate Rosse ‘trasformare’ l’Italia. Odiano Trump perché ama l’America e ama il capitalismo”.
Emily Murphy, responsabile di quella General Services Administration che dovrebbe gestire la transizione, non ha ancora dichiarato quell’ascertainment che dà via alla transizione. E l’Attorney General William Barr sta intervenendo direttamente nell’accertamento dei ricorsi. Come potrà realisticamente andare a finire?
“Il presidente Trump ha tutto il diritto ai ricorsi legali che si stanno facendo in diversi stati come Pennsylvania, Georgia e Arizona. Mi aspetto che ci voglia tempo per risolverli, forse settimane o più”.
Giuliani ha parlato di 600.000 voto contestati. E il distacco tra i candidati è di 4,9 milioni di voti.
“Sì. Il divario nazionale è di circa 5 milioni. Ma con il sistema elettorale statunitense, ciò non determina il vincitore. I voti di cui è stata chiesa la verifica in Pennsylvania, Georgia e Arizona insieme sono oltre 60.000. Se Trump vince in quei tre stati e conferma il successo in North Carolina, diventa presidente”.
Dunque, i voti cruciali da controllare non sarebbero 600.000, ma 60.000?
“Sì. 45.000 in Pennsylvania. 11.000 in Georgia e alcune migliaia in Arizona”.
Sta comunque rimbalzando una quantità di voci incontrollate sul tipo di brogli che ci sarebbero stati. Morti che votano, voti per posta senza firma, seggi con più voti che iscritti… Effettivamente, su cosa stanno venendo fatto i ricorsi?
“Il ricorso principale è stato in Pennsylvania. Riguarda i reclami sui due sistemi di voto, per posta e di persona, e il fatto che la campagna di Trump non ha potuto monitorare i voti per posta in modo adeguato. I principali ricorsi in Arizona e Georgia sono invece più incentrati sul riconteggio e sulla richiesta di invalidare voti che sarebbero stati espressi in modo illegale”.
Ma ce la faranno a finire in tempo perché qualcuno possa effettivamente insediarsi il 20 gennaio?
“Penso di sì. Ma confesso che non ci scommetterei sopra”.
Comunque vada a finire, quali pensa che sia il meglio dell’eredità di Trump?
“Ha dimostrato che chiunque abbia la forza di volontà, le risorse e la capacità di fare spettacolo può diventare il presidente. Non solo politici di carriera”.
E quali sono invece le cose che potevano andare meglio? Un analista molto noto in Italia e comunque sostenitore di Trump come Luttwak ha detto che comunque il presidente ha commesso errori nella gestione del Covid.
“Si, il Coronavirus è stato probabilmente il suo errore più grande. Trump ha anche assunto molte persone sleali, como Esper e Generale Mattis, che gli hanno fatto opposizione sotto banco e che hanno combattuto duramente per tenere i suoi veri sostenitori fuori dal governo. Questo errore ha portato anche al tentato impeachment sugli aiuti all’Ucraina, lo scorso anno”.
I governi che non hanno ancora mandato le congratulazioni a Biden o che comunque li hanno mandati in ritardo, curiosamente, sono governi che con gli Stati Uniti in generale e con l’Amministrazione Trump in particolare hanno avuto rapporti difficili. Con Cina e Messico Trump ha avuto vari scontri, anche se intervallati a momenti di distensione. La Russia è sempre restato un avversario strategico. Come si spiega questo atteggiamento?
“Grande domanda. Penso che quei governi siano più intelligenti di quelli che si sono già congratulati con Biden. Finché le elezioni restano contestate, è un’idea rischiosa che i governi stranieri siano coinvolti in qualche modo. La pazienza è una virtù.”
Una cosa che ha sorpreso è stato lo sfondamento di Trump presso gli ispanici, malgrado sia stato eletto sulla base di una retorica che sembrava loro ostile. Come si spiega?
“Vero. Trump è andato molto bene con i cubani e venezuelani della Florida, che sono sfuggiti agli orrori del socialismo, o ne hanno sentito parlare dai loro genitori o nonni. Trump non ha invece sfondato tra gli oriundi Messicani, che pesano molto in California, Arizona e New Mexico. Le loro famiglie non hanno avuto quelle esperienze”.
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