Il rilascio e la conversione della giovane cooperante milanese rappresentano una doppia vittoria per l’immagine del gruppo terroristico. Marco Cochi spiega chi sono e come agiscono i rapitori di Silvia
Di Germana Zuffanti
Dal Covid-19 come emergenza sanitaria mondiale al terrorismo internazionale, sono i temi che da giorni dominano sulle prime pagine dei giornali. Da ultimo, la liberazione di Silvia Romano, la giovane cooperante milanese per 18 mesi prigioniera in Somalia che ha infiammato i social di proteste, rivendicazioni e cattiverie.
Per l’occasione sono riaffiorati termini su cui forse si sa sempre troppo poco come Islam, conversione, Corano, prigionia, riscatto. In sintesi, le chiavi di ricerca che sul web riconducono alla vicenda della volontaria milanese rapita e liberata con un’operazione congiunta di intelligence di vari paesi. Poi si parla di Kenya, Somalia e di terrorismo feroce, quello del gruppo al-Shabaab, una spietata e sanguinaria organizzazione terroristica somala affiliata ad al Qaeda, responsabile dell’escalation della violenza nel paese del Corno d’Africa.
Lo chiediamo ad un esperto del settore, Marco Cochi, giornalista professionista che da quasi 20 anni si occupa di Africa sub-sahariana. Cochi è analista del “think tank” di geopolitica “Il Nodo di Gordio” e docente presso la “Link Campus University” di Roma. Nel 2018, ha pubblicato per i tipi di Castelvecchi “Tutto cominciò a Nairobi”, un libro che partendo dagli attacchi dell’agosto 1998 alle ambasciate americane in Kenya e in Tanzania racconta l’evoluzione della minaccia di al Qaeda in Africa.
Dottor Cochi, può spiegarci l’origine dei terroristi che hanno rapito Silvia Romano?
La giovane volontaria milanese è stata tenuta per 18 mesi in ostaggio da uomini appartenenti ad “Harakat al-Shabaab al-Mujahiddin”, gruppo estremista islamico somalo meglio noto come “al-Shabaab”. Per raccontarne le origini dobbiamo tornare all’inizio di giugno 2006, quando l’Unione delle Corti islamiche, con l’appoggio della popolazione di Mogadiscio, assunse il controllo della capitale somala e pose fine al dominio dei brutali signori della guerra. Al Shabaab, che in arabo significa “la gioventù”, si sviluppò in questo periodo come la fazione islamista più giovane, disciplinata e radicale della Somalia. Il gruppo estremista si affermò durante la “muqaawama”, la resistenza alle truppe etiopi che alla fine del 2006 avevano invaso la Somalia per sostenere il Governo federale di transizione. Al-Shabaab cominciò così ad acquisire un forte consenso popolare, tanto che dopo l’uscita di scena delle Corti islamiche diventò il gruppo armato più strutturato e influente di tutta la Somalia. Nel tempo, gli islamisti somali hanno stabilito un saldo legame con al Qaeda. Uno dei primi leader spirituali del movimento, Sheikh Hassan Dahir Aweys, ex capo della “Shura” delle Corti islamiche, aveva contatti con i membri di spicco della cellula di al Qaeda in Africa orientale (quella che il 7 agosto 1998 realizzò il duplice attacco alle ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam).
Continua a leggere l’intervista a Marco Cochi, Country Analyst del “Nodo di Gordio” su: https://www.italiastarmagazine.it/l-intervista/silvia-romano-un-successo-dei-terroristi-di-al-shabaab-12605