Tutto secondo i (facili) pronostici della vigilia nelle Elezioni Presidenziali tenutesi in Kazakhstan nella domenica appena trascorsa. Il Presidente in carica, Nursultan Nazarbayev – il “padre della patria kazaka” che guida il paese sin dall’indipendenza dall’URSS nel 1991 – è stato rieletto in modo pressoché plebiscitario: il 97,7 dei voti contro le briciole raccolte dai due candidati alternativi, il nazional-comunista del Partito Comunista del Popolo Turgun Syzdykov, (o,7%), e l’indipendente, leader sindacale, Abelgazy Kussainov (1,6%).
Impressionante – un tempo la si sarebbe definita “bulgara” – anche la partecipazione al voto: oltre il 95% degli aventi diritto. Insomma, in queste elezioni – che lo stesso Nazarbayev ha voluto anticipate e il cui regolare svolgimento viene confermato dagli osservatori internazionali dell’OSCE – il Kazakhstan ha scelto, come si suol dire, la continuità, confermando al potere l’uomo che lo ha guidato attraverso la lunga e difficile transizione dell’era post-sovietica, portandolo fuori dalla crisi degli anni ’90 ed avviando un processo di modernizzazione istituzionale e strutturale che ha fatto, oggi come oggi, dell’antica Terra dei Cavalieri l’unica Repubblica veramente stabile ed industrialmente avanzata di tutta l’Asia Centrale, nonché il perno degli equilibri geoeconomici e geopolitici dell’intera regione.
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