Quella curda è, in questo momento, una situazione in rapida evoluzione che apre degli spiragli su scenari, fino a qualche anno fa, inediti. Le recenti aperture presentate al parlamento dal Premier Recep Tayyip Erdogan e dal suo Primo Ministro Basir Atalay, potrebbero operare una metamorfosi di quello che ieri per il paese era un problema destabilizzante, trasfigurandolo in un processo funzionale agli standard d’adesione alla UE. Quindi renderlo addirittura il fiore all’occhiello della campagna di normalizzazione dei rapporti che l’AKP, il partito al governo, sta simmetricamente conducendo sui fronti della politica estera ed interna, in vista delle future elezioni del 2011. I curdi sono un’antica etnia di stirpe iranica, stanziata nella parte settentrionale e nord-orientale della Mesopotamia, la quarta dopo arabi, persiani e turchi. Consta attualmente di circa 25 milioni di persone, per la maggior parte di religione musulmana sunnita, di cui tra i 12 e i 15 milioni vivono soprattutto in Turchia.
Quello curdo non è un problema recente. Affonda, infatti, le sue radici nella disgregazione dell’Impero Ottomano ad opera della Lega delle Nazioni e del trattato di Losanna nel 1923, allorché i curdi furono divisi fra quattro nazioni: Turchia, Persia, protettorati anglo-francesi in Siria e in Iraq, cui per completezza va aggiunta – sebbene con minore importanza – l’Armenia. La geopolitica della regione e il tribalismo furono le cause che impedirono l’accettazione delle istanze nazionaliste curde in sede di conferenza di pace. Successivamente, ognuno di questi paesi, intraprese una campagna di assimilazione nei confronti di questo popolo.
Tenendo conto degli enormi sconvolgimenti epocali sui quali si è formata la Turchia contemporanea, i cui principi fondanti sono stati il nazionalismo e l’omogeneità linguistico-culturale, anche le istanze curde non potevano trovare una facile soluzione. Detto ciò, non vanno nemmeno ignorati esempi – che non sono gli unici – mutuati dalla vita pubblica turca, di curdi importanti come l’ex Premier Turgut Ozal (1927-93) ed il letterato Yasar Kemal. D’altra parte bisogna anche tenere conto del fatto che fino alla fine della Guerra Fredda il cosiddetto “Kurdistan turco” era certamente una regione importante dal punto di vista strategico quanto però arretrata da quello economico. Negli ultimi decenni, tuttavia, in Turchia parlare di curdi ha significato soprattutto parlare di un problema collegato al terrorismo.
Negli anni ’70 sulla scia dei vari movimenti anticolonialisti allora in voga, esattamente nel 1978, un personaggio di nome Abdullah Ocalan, ora incarcerato nell’isola-penitenziario di Imrali, fondò a Diyarbakir un movimento di ispirazione marxista-leninista, il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) non scevro di collusioni internazionali. Infatti, pare che già all’atto della sua costituzione avesse contribuito la Siria, interessata a destabilizzare la Turchia; poi per ragioni diverse ma con omogeneità di fini trovò sostegno sia da parte della Grecia che dell’Unione Sovietica.
Fin quasi da subito questo movimento, si diede ad una lotta armata per l’indipendenza, perpetrando un’infinita serie di attentati cruenti ed uccisioni efferate sia nei confronti della popolazione civile turca che nei confronti degli stessi curdi. Un conflitto interno che provocò fino a quarantamila vittime e che generò una reazione opposta altrettanto dura da parte dell’esercito. Ultima in ordine di tempo, la massiccia offensiva coordinata con Teheran contro le basi del PKK nel nord dell’Iraq, iniziata nel 2008, che ha inasprito le tensioni al punto che lo stesso capo di stato maggiore turco, Ilker Basbug, ha dovuto ammettere che i mezzi militari da soli non possono risolvere il problema curdo. Basbug ha poi rilasciato una dichiarazione che deve aver sbalordito molti osservatori: “Vedere tutta una comunità come potenziale terrorista è il più grande errore che possa essere fatto nella guerra contro il terrorismo” – ha detto il generale – in tale guerra si deve garantire una collaborazione fra le istituzioni governative e la gente. Conoscere la gente, stabilire rapporti solidi e profondi sul territorio. Anche il terrorista in fondo è un uomo”. Il discorso è stato ribadito dal Premier Erdogan in parlamento, il quale ha invitato a disinnescare l’equazione terrorismo e problema curdo, dando il via ad una serie di aperture democratiche finalizzate all’unità e alla fratellanza nazionale.
Ermanno Visintainer